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The Altruism Revolution: geni ed empatia.

Una riscoperta dell’altruismo e della solidarietà nella storia dell’evoluzione umana: questo è il tema di The Altruism Revolution. In questo documentario esploriamo le vite e le imprese di persone che hanno lasciato da parte l’egoismo per perseguire imprese che portassero sviluppo e prosperità al resto del mondo.

Sostenute da ricerche e teorie elaborate da biologi, sociologi e antropologi, le storie raccontate da The Altruism Revolution intessono una trama alternativa alla narrazione imperante dell’egoismo colossale.

Contro l’evoluzionismo competitivo

La natura crudele ed eliminatoria del processo evolutivo è un fatto che tutti noi abbiamo imparato a conoscere e accettare fin da bambini. Peccato che questa storia non sia solo una grossolana semplificazione, ma che potrebbe addirittura non essere corretta.

La teoria competitiva dell’evoluzione fu elaborata per la prima volta da Charles Darwin, secondo il principio della sopravvivenza del più forte, o del più adatto. Naturalmente, a scapito degli altri individui. Questa teoria, dopo le prime resistenze, venne accettata universalmente.

Su di essa, il mondo moderno trovò uno dei suoi pilastri portanti: la concorrenza come elemento fondante della società. L’ovvio risultato, che possiamo vedere oggi, è quello di individui eccellenti ma sempre più isolati. Una selezione naturale che ha portato a una società atomizzata, a un corpus che divora se stesso.

Ma già ai tempi di Darwin esistettero, ed esistono tuttora, interpretazioni diverse dell’evoluzione. The Altruism Revolution cerca di ridare loro valore, riaffermando valori della specie come l’empatia, la collaborazione, la solidarietà e, ovviamente, l’altruismo.

La narrazione dell’egoismo

Homo homini lupus. Quando la catastrofe colpisce, sappiamo già cosa aspettarci: disservizi, penuria e soprattutto caotici saccheggi. Ma siamo sicuri che quello che pensiamo di sapere non sia quello solo quello che ci viene mostrato?

La lente dei mass-media informa, ma amplifica anche. Le immagini di violenza e furti che abbiamo visto nei nostri smartphone e nei nostri televisori sono davvero una rappresentazione corretta di ciò che accade in situazioni di emergenza? Le statistiche sembrano dirci il contrario: cioè che la violenza e il saccheggio siano un fenomeno minoritario, e che in scenari di guerra o di calamità naturali, a prevalere siano atteggiamenti di aiuto e cooperazione.

Quindi, homo homini lupus? Piuttosto, non è la diffidenza a farcelo credere? Il timore naturale che proviamo verso gli sconosciuti? Cosa sorregge la narrazione preponderante nel nostro sistema economico-sociale, secondo la quale il motore dell’umanità sia la competizione e che unicamente il desiderio di prevalere a muovere gli umani?

L’altruismo nei nostri geni

The Altruism Revolution percorre un altro sentiero, raccogliendo interviste di scienziati propositori di una visione diversa della natura umana. A partire da psicologi come Daniel Batson, principale propositore della teoria altrustico-empatica della psiche umana.

I contributi arrivano da neuroscienziati come Richard Davidson, promotore della mindfulness nei processi cooperativi, dai ricercatori del Max Placnk Institute e la loro ricerca sull’empatia innata dei bambini. E infine, arrivano anche da Matthieu Ricard, monaco buddista di fama internazionale, noto come “il cervello più studiato al mondo”. 

L’idea proposta da tutti è la stessa: l’altruismo, al pari e se non più della competizione, è un elemento fondamentale dello sviluppo e dell’evoluzione genetica degli esseri umani.

The Altruism Revolution parla di noi

Il documentario di Sylvie Gilman e Thierry de Lestrade si pone a pieno titolo come un rigoroso studio sul lavoro scientifico e filosofico che una larga fetta del mondo accademico sta facendo per proporre una visione più positiva dell’evoluzione.

Prendendo a piene mani dai campi più disparati della ricerca, selezionando e montando in maniera solida e chiara, la regia restituisce un quadro comprensibile anche ai profani della scienza, in grado di minare le precedenti visioni dell’umano, date per scontate dalla società.

E magari, anche di farci pensare che sia possibile interpretare diversamente quello che siamo: homines homini lupi, o forse qualcosa di meglio.

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