La vera storia della Mayflower: il giorno in cui cominciò il genocidio invisibile
- Redazione UAM.TV
- 7 ago
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Non fu l’alba di una libertà. Fu il tramonto di un mondo intero.

Il sogno dei Padri Pellegrini?
All’inizio di agosto 1620, due navi erano pronte a salpare dall’Inghilterra con a bordo poco più di cento uomini, donne e bambini. Erano la Mayflower e la Speedwell. La loro missione – almeno secondo la versione tramandata – era nobile: raggiungere il “Nuovo Mondo” per fondare una colonia basata sulla libertà religiosa.
Ma la verità è più sfaccettata. E molto più oscura.
Il primo tentativo di partenza avvenne il 5 agosto 1620 dal porto di Southampton. Ma la Speedwell, nave più piccola e già logora, cominciò a imbarcare acqua. Dopo uno scalo a Dartmouth e un altro a Plymouth, i coloni furono costretti ad abbandonare la Speedwell e a stiparsi tutti sulla sola Mayflower, ritardando di settimane la traversata.
Fu così che, finalmente, il 16 settembre 1620, la Mayflower salpò dal porto di Plymouth. A bordo, 102 passeggeri e circa 30 membri dell’equipaggio. Un viaggio duro, di oltre due mesi, verso un mondo che credevano nuovo, vuoto, pronto ad accoglierli.
Il 16 settembre 1620, data quasi ignorata nelle commemorazioni ufficiali, segnò in realtà l’inizio di uno dei capitoli più oscuri della storia americana.
Chi erano davvero i Padri Pellegrini?
Erano dissidenti religiosi. Ma non nel senso che oggi attribuiamo al termine “libertà religiosa”. Erano puritani radicali, sostenitori di una visione teocratica e rigida della società, convinti di avere il diritto – e il dovere – di plasmare il mondo secondo i dettami della loro fede.
Non cercavano il dialogo con le culture altrui. Cercavano uno spazio incontaminato da convertire. Una nuova terra promessa dove fondare una società “pura”, lontana dalle corruzioni della Chiesa d’Inghilterra e dalle influenze cattoliche.
Il loro arrivo nelle Americhe non fu un gesto di apertura. Fu un atto di imposizione culturale.
Un nuovo mondo? No, un mondo già abitato.
“Nuovo mondo”. Così lo chiamavano. Ma era tutto fuorché nuovo.
Quando la Mayflower raggiunse le coste dell’attuale Massachusetts, quel continente era già casa per milioni di persone. I Wampanoag, i Narragansett, gli Abenaki, gli Irochesi, e centinaia di altre nazioni indigene vivevano da secoli in quelle terre, custodendo saperi profondi, pratiche di armonia con la natura, strutture sociali complesse.
I passeggeri della Mayflower non sbarcarono in un vuoto, ma in un pieno. Non entrarono in un deserto, ma in una rete viva di relazioni, spiritualità e reciprocità. Eppure, ciò che non comprendevano, lo considerarono inferiore. Selvaggio. Eliminabile.
La colonizzazione come annientamento
L’arrivo della Mayflower fu il primo atto visibile di un progetto molto più grande: la colonizzazione sistematica dell’America settentrionale da parte dell’Impero britannico.
Nei decenni successivi, le comunità indigene furono devastate. Le epidemie portate dagli europei fecero milioni di vittime. Le terre vennero confiscate, i trattati violati, le culture demonizzate, i bambini strappati alle famiglie per essere “civilizzati”.
Il mito dell’insediamento pacifico è una menzogna. Quella che viene celebrata come la nascita della libertà fu in realtà la morte lenta e pianificata di centinaia di popoli. La libertà dei Padri Pellegrini fu la fine della libertà per chi già abitava quella terra.
Il mito dell’eroismo e il silenzio del massacro
Nella narrazione ufficiale, la Mayflower è ancora un’icona. Un simbolo di fede, coraggio e determinazione. Ma ogni simbolo, se non guardato da tutte le angolazioni, rischia di diventare uno strumento di rimozione.
Dove sono le storie delle donne native stuprate, dei villaggi incendiati, dei capi tribù traditi? Dove le parole di chi si è visto portare via tutto: terra, lingua, figli, spiritualità?
Il genocidio invisibile non ha avuto bisogno di campi di concentramento. È avvenuto in chiese, scuole, riserve. È passato attraverso la cancellazione della memoria, la riscrittura della storia, il silenzio.
La ferita ancora aperta
Le conseguenze di quel viaggio si sentono ancora oggi.
Le comunità native americane affrontano tuttora discriminazione, povertà estrema, depressione, tassi altissimi di suicidio. Le lingue tradizionali si estinguono. I luoghi sacri vengono distrutti da progetti industriali. Le scuole impongono ancora oggi una narrazione parziale, che glorifica il colonizzatore e tace sul colonizzato.
Il 16 settembre torna ogni anno, ma raramente viene nominato. Perché ricordarlo con onestà significherebbe guardare in faccia la nostra storia. E molte società preferiscono il mito alla verità.
Guarire la storia
Non si tratta di colpevolizzare. Si tratta di guardare con onestà. Di riconoscere che ogni fondazione può essere anche una ferita. E che ogni ferita, se negata, continua a infettare il presente.
Possiamo scegliere di credere al mito. Oppure possiamo scegliere di onorare la verità. Di ridare voce a chi è stato messo a tacere. Di riprendere il filo spezzato della memoria.
La Mayflower ha solcato l’oceano in cerca di un mondo migliore. Ma ha portato con sé una visione che escludeva tutto ciò che non era conforme. È tempo di disinnescare quella visione. Di costruire qualcosa di diverso. Di davvero libero. E di profondamente umano.
Citazione d’autore
“Quando il missionario arrivò, noi avevamo la terra e loro la Bibbia. Ci dissero di chiudere gli occhi e pregare. Quando li aprimmo, loro avevano la terra e noi la Bibbia.” Desmond Tutu
Consiglio consapevole
Rileggere la storia con occhi nuovi non è un capriccio intellettuale. È un atto di guarigione collettiva. Inizia con l’ascolto: delle voci indigene, delle storie soppresse, delle spiritualità marginalizzate. Su uam.tv trovi contenuti che parlano di resistenza, di ricostruzione della memoria, di futuro decolonizzato. Guardarli è un gesto di cura. Un seme di verità. Una promessa di consapevolezza.
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