Seize the Summit. Scalare le ferite, ritrovare la vita
- Redazione UAM.TV

- 12 set
- Tempo di lettura: 3 min
Dal dolore della guerra alla vetta del Kilimanjaro: un viaggio di resilienza, speranza e rinascita che unisce popoli e cuori.

La montagna come specchio dell’anima
Il Kilimanjaro, con la sua imponenza che svetta oltre le nuvole, non è solo una sfida fisica. In Seize the Summit, diretto da Arwa Damon, diventa una metafora universale: quella delle battaglie interiori che ciascuno dei protagonisti affronta da anni.
Giovani provenienti da Afghanistan, Siria, Ucraina e da altri Paesi segnati dalla guerra si ritrovano uniti in un’impresa straordinaria: scalare insieme la vetta più alta d’Africa.
Ognuno di loro porta con sé il peso della perdita, la memoria dei bombardamenti, la vita nei campi profughi e le cicatrici invisibili della violenza subita. Ma la fatica, il freddo e l’altitudine si intrecciano con i ricordi dolorosi, trasformando il viaggio in un rito collettivo di rinascita.
Un cammino di resilienza condivisa
Salire verso la cima diventa occasione per condividere lacrime e risate, canti improvvisati e confessioni intime. È in questo incontro di vulnerabilità e coraggio che la montagna si trasforma in simbolo di resilienza. La vetta non è soltanto un punto geografico da raggiungere, ma un grido comune: dire no alla guerra e riaffermare il diritto universale alla pace.
In questo, Seize the Summit ci ricorda che la resilienza non è mai un atto solitario, ma una forza che nasce quando le persone scelgono di camminare insieme.
Il legame con “Il sentiero della gioia”
Il documentario dialoga profondamente con un altro film presente su uam.tv: Il sentiero della gioia di Thomas Torelli. In quel viaggio si esplora la ricerca della felicità, troppo spesso intesa come obiettivo finale e irraggiungibile, quando invece è un’attitudine quotidiana, un modo di guardare la vita.
I ragazzi protagonisti di Seize the Summit non inseguono la felicità come un traguardo remoto: la scelgono passo dopo passo, cantando, ridendo e sostenendosi a vicenda lungo il cammino. La loro forza sta proprio in questo: trovare la gioia nonostante il dolore, trasformandola in energia che illumina la salita.
Il coraggio di dire “Si può fare”
Un altro film che trova risonanza con questa scalata è Si può fare, sempre diretto da Thomas Torelli, che racconta l’impresa di Matteo, affetto da sclerosi multipla, deciso ad attraversare l’Italia lungo il cammino di San Michele. Anche lì la fatica, le difficoltà e i momenti di sconforto diventano parte di un percorso di resilienza che non si ferma di fronte ai limiti, ma li trasforma in occasioni di crescita.
Così come Matteo dimostra che la vita è bellissima a prescindere dagli ostacoli, i protagonisti di Seize the Summit testimoniano che persino le ferite più profonde possono diventare il punto di partenza per costruire un futuro diverso.
Un invito a guardare in alto
Guardare Seize the Summit significa aprire gli occhi su storie che parlano di dolore, certo, ma soprattutto di speranza e di coraggio. È un viaggio che ci ricorda che non possiamo scegliere la montagna che ci si para davanti, ma possiamo sempre decidere come scalarla e con chi farlo.
Proprio come Il sentiero della gioia e Si può fare, questo documentario diventa allora un invito universale: guardare in alto, scegliere la vita e camminare con coraggio, nonostante tutto.
Citazione d’autore
“Non è la montagna che conquistiamo, ma noi stessi.”
Edmund Hillary
Consiglio consapevole
La prossima volta che affronti una difficoltà, prova a cambiare prospettiva: non chiederti soltanto “quando finirà”, ma domandati “cosa posso imparare lungo la salita”. Ogni passo diventa così parte di una trasformazione che, come in questi tre film, ci accompagna verso una vetta interiore.









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