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Pelé e la danza della vita

  • Immagine del redattore: Redazione UAM.TV
    Redazione UAM.TV
  • 1 giorno fa
  • Tempo di lettura: 4 min

Quando il corpo diventa preghiera e il gioco diventa poesia

Pelé e la danza della vita

L’uomo che fece danzare il mondo


Il 23 ottobre 1940, in un piccolo villaggio del Brasile, nacque un bambino che avrebbe cambiato per sempre il modo di intendere il calcio.

Quel bambino si chiamava Edson Arantes do Nascimento, ma il mondo lo avrebbe conosciuto con un nome che divenne leggenda: Pelé.

Oggi, 23 ottobre 2025, avrebbe compiuto 85 anni.

È morto nel dicembre del 2022, lasciando dietro di sé un’eredità che va ben oltre i trofei, le statistiche, i record. Ha lasciato un sentimento. Una musica. Una forma di bellezza che sopravvive ogni volta che un bambino calcia un pallone con gli occhi pieni di sogni.

Pelé non apparteneva solo al Brasile. Apparteneva al mondo, a quell’umanità che riconosce la grazia quando la vede, anche se non sa spiegarla.


Il ragazzo che giocava scalzo tra le stelle


La sua infanzia fu povera, ma ricca di immaginazione. Giocava scalzo, con palloni fatti di stracci e sogni, tra le vie polverose di Bauru. Non aveva scarpe, ma aveva ali. Non aveva privilegi, ma aveva un dono: quello di rendere il mondo più leggero.

Quando toccava il pallone, sembrava danzare. Ogni movimento raccontava una storia antica, fatta di ritmo, respiro e libertà.

Pelé non forzava il gioco: lo ascoltava.

E il gioco, riconoscendolo come suo figlio, gli obbediva.

Da quel momento, nulla fu più lo stesso. Il calcio smise di essere solo sport: diventò linguaggio universale, danza collettiva, poesia del corpo.


La grazia come rivoluzione


Pelé insegnò al mondo che la forza non è mai solo fisica, che la potenza può nascere dalla leggerezza, che la tecnica più perfetta è quella che non si nota.

Ogni dribbling era un atto di fiducia nella vita, un modo per dire: “posso creare bellezza anche nel caos”.

Nel 1958, a soli diciassette anni, portò il Brasile a vincere la Coppa del Mondo. Pianse come un bambino, stringendo il trofeo con lo stupore di chi non capisce ancora la grandezza di ciò che ha appena fatto. Quel pianto attraversò oceani, confini e lingue: era la purezza che tornava a vincere, almeno per un momento, sull’arroganza del potere e sulla logica del denaro.

Pelé non giocava per sé.

Giocava per tutti noi.


L’arte dell’umiltà


Nonostante la fama planetaria, la gloria e gli onori, Pelé rimase profondamente umano. Non divenne mai schiavo del personaggio. Continuò a essere Edson, il figlio del povero Dondinho, l’uomo che sapeva di essere solo un tramite del miracolo che lo attraversava.


Diceva:

“Dio mi ha dato il dono di giocare a calcio. E io ho cercato di onorarlo ogni giorno.”


Parlava ai giovani con una voce ferma ma dolce, ricordando che il successo non è mai solo conquista, ma responsabilità. Sapeva che ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo potevano ispirare o distruggere.

Scelse sempre di ispirare.


Il sorriso del mondo


Pelé rappresentò la speranza di un intero popolo. Il Brasile, paese di contrasti e povertà, trovò in lui un simbolo di rinascita, una figura che univa classi, colori e culture. Quando sorrideva, sembrava che la terra stessa sorridesse con lui. Quel sorriso era la sua rivoluzione: un atto politico e spirituale insieme, un richiamo alla gioia come forma di resistenza.

Nei suoi occhi, la vittoria non era mai vendetta. Era gratitudine. E in un’epoca segnata da conflitti e divisioni, la sua leggerezza fu un antidoto potente contro la paura e la rassegnazione.


Il talento come forma di consapevolezza


Pelé non fu solo il più grande calciatore della storia.

Fu un iniziato inconsapevole a una forma di conoscenza che univa corpo e spirito.

Ci ricordò che il talento, quando viene riconosciuto e condiviso, diventa forma di meditazione.

Ogni suo gol era un mantra, ogni sua corsa un atto di fede, ogni sua vittoria una parabola sulla bellezza della vita vissuta pienamente. Come i veri maestri spirituali, non predicava: mostrava. E nel farlo, insegnava senza parlare.

Pelé ci ha lasciato in silenzio, ma continua a parlarci attraverso la memoria dei suoi gesti.

Perché certe presenze non svaniscono: si trasformano in luce.


La danza che non finisce


Oggi, mentre il mondo ricorda il suo 85º compleanno, Pelé continua a vivere in ogni campo di periferia, in ogni bambino che gioca scalzo, in ogni sguardo che cerca la gioia pura del movimento.

La sua è stata una danza cosmica, una preghiera vestita da sport. E quella danza non si ferma. Perché ogni volta che celebriamo la bellezza, che scegliamo la leggerezza, che sorridiamo dopo una caduta, lui è ancora con noi.


Citazione d’autore

“Il successo non è un dono per chi vince, ma una responsabilità verso chi guarda.”

Pelé

Consiglio consapevole

Oggi, in suo onore, trova un gesto che ti faccia sorridere come un bambino. Un passo di danza, una corsa senza meta, un gioco improvvisato. La vita non è fatta solo di risultati, ma di attimi di grazia in cui ricordiamo che siamo vivi.

Pelé ci ha insegnato che la gioia è una forma di preghiera.


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