La stanchezza collettiva di fine anno
- Redazione UAM.TV

- 18 ore fa
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Ascoltare ciò che il corpo e il tempo stanno cercando di dirci

Una stanchezza che non è solo individuale
C’è una stanchezza particolare che arriva a dicembre. Non riguarda soltanto il corpo e non si limita alla mente. È una stanchezza diffusa, quasi ambientale, che sembra attraversare le persone, i luoghi, persino il modo in cui ci parliamo. La si percepisce nei silenzi più lunghi, nelle risposte rimandate, nello sguardo che a volte fatica a mettere a fuoco il prossimo passo.
Non è una stanchezza che nasce necessariamente da un eccesso di attività. Spesso nasce dalla continuità. Dal portare avanti cose che non abbiamo più avuto il tempo o il coraggio di rimettere in discussione. Dal procedere per inerzia, senza più sentire davvero il perché.
Dicembre e il peso del tempo accumulato
A fine anno siamo abituati a spiegare questa sensazione con parole pratiche e rassicuranti. Stress, scadenze, chiusure, lavoro arretrato. Tutto vero, ma raramente sufficiente. Perché la stanchezza di dicembre ha una qualità diversa. È come se non fosse legata solo alle ultime settimane, ma all’intero anno che si deposita addosso.
Il tempo non passa soltanto. Si accumula. Si stratifica sotto forma di decisioni prese in fretta, di compromessi accettati, di desideri rimandati. A dicembre tutto questo riaffiora. Non sotto forma di pensiero chiaro, ma di affaticamento. Una fatica che non sempre sappiamo nominare, ma che sentiamo con precisione.
La cultura che teme la stanchezza
Viviamo in una cultura che guarda alla stanchezza come a un errore da correggere. Appena compare, cerchiamo subito il modo di eliminarla. Più stimoli, più distrazioni, più intrattenimento. Anche il riposo, spesso, viene trattato come uno strumento per tornare rapidamente produttivi, non come un valore in sé.
Eppure non tutta la stanchezza va curata. Alcune forme di stanchezza vanno ascoltate. Non segnalano un guasto, ma una soglia. Un limite superato. Un ritmo che non è più in sintonia con ciò che siamo diventati.
Il corpo come primo testimone
Il corpo lo sa prima di noi. Sa quando un ciclo si sta chiudendo. Sa quando stiamo continuando a spingere per abitudine e non per necessità. Sa quando l’energia non manca, ma è semplicemente stata spesa male.
In questo senso, la stanchezza non è una nemica. È una forma di intelligenza. Una comunicazione diretta, non mediata, che ci chiede attenzione. Ignorarla significa spesso rimandare il problema. Ascoltarla significa aprire una possibilità di cambiamento.
Una fatica che diventa collettiva
A dicembre questa dinamica si amplifica perché è condivisa. Tutti sembrano correre verso una linea invisibile, cercando di chiudere, sistemare, completare. Il calendario impone una corsa finale, mentre qualcosa dentro vorrebbe rallentare, fermarsi, tirare il fiato.
È in questa contraddizione che nasce la stanchezza collettiva. Non siamo solo affaticati dal fare, ma dalla distanza crescente tra ciò che facciamo e ciò che sentiamo. Tra il tempo imposto e il tempo vissuto.
Non tutto chiede riposo, alcune cose chiedono senso
Non tutte le stanchezze si risolvono dormendo di più o staccando qualche giorno. Alcune chiedono una domanda. Chiedono di essere guardate in faccia. Di chiederci se ciò che stiamo portando avanti ha ancora un significato per noi, o se stiamo semplicemente resistendo.
In questo senso, la stanchezza può diventare una soglia evolutiva. Un punto di passaggio. Non verso il collasso, ma verso una maggiore sincerità con se stessi.
La lezione silenziosa delle stagioni
La natura, in questo periodo, non ha fretta. Gli alberi non producono, non mostrano risultati, non crescono in superficie. Si ritirano. Conservano. Preparano. Nessuno li accusa di essere improduttivi. Nessuno chiede loro di fare di più.
Forse dicembre serve anche a questo. A ricordarci che esistono stagioni interiori diverse. Che non tutto è espansione, visibilità, performance. Che il ritiro non è una sconfitta, ma una fase necessaria del ciclo.
Accogliere la stanchezza come atto di maturità
Accogliere la stanchezza non significa arrendersi. Significa smettere di combattere contro un segnale che chiede ascolto. Significa riconoscere che non siamo macchine progettate per funzionare sempre allo stesso modo.
Forse la stanchezza collettiva di fine anno non è un problema da risolvere, ma un messaggio da decifrare. Un invito a chiudere davvero ciò che va chiuso. A lasciare andare ciò che pesa. A entrare nel nuovo tempo con meno carico e più presenza.
Citazione d’autore
“Non tutto ciò che pesa deve essere eliminato. Alcune cose pesano perché hanno un significato.”
Byung Chul Han
Consiglio consapevole
In questi giorni, prova a non riempire ogni spazio libero. Lascia almeno un momento della giornata senza obiettivi, senza contenuti, senza stimoli aggiuntivi. Ascolta che tipo di stanchezza emerge. Potrebbe non chiederti di fare meno, ma di fare in modo diverso.






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