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Zamenhof Day: una lingua per avvicinare il mondo

  • Immagine del redattore: Redazione UAM.TV
    Redazione UAM.TV
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Comunicare non basta: il sogno di una lingua che nasce dall’ascolto

Zamenhof Day: una lingua per avvicinare il mondo

Una ricorrenza silenziosa, un messaggio potente


Il 15 dicembre si celebra lo Zamenhof Day, una ricorrenza poco conosciuta ma carica di significato. È il giorno della nascita di Ludwik Lejzer Zamenhof, medico, linguista e visionario, che alla fine dell’Ottocento immaginò una lingua nuova, l’Esperanto, come strumento di incontro tra popoli divisi. Non una celebrazione folkloristica, ma un invito sottile a riflettere su ciò che ci separa e su ciò che potrebbe unirci.

In un mondo attraversato da conflitti, incomprensioni e identità irrigidite, ricordare Zamenhof significa riportare al centro una domanda essenziale: come possiamo davvero capirci, oltre le parole.


Nascere nel conflitto, pensare la pace


Zamenhof cresce a Białystok, una città dell’Europa orientale segnata da profonde fratture etniche, religiose e linguistiche. Polacchi, russi, ebrei, tedeschi, lituani convivono nello stesso spazio urbano, ma raramente nello stesso orizzonte umano. Le lingue non sono soltanto strumenti di comunicazione, ma confini simbolici. Ogni parola diventa un segno di appartenenza, ogni accento una possibile esclusione.

È da questa esperienza concreta che nasce l’intuizione di Zamenhof. Se la lingua può dividere, allora forse può anche unire. Non imponendo un codice dominante, ma creando uno spazio neutro, condiviso, in cui nessuno parta avvantaggiato.


L’Esperanto come gesto etico


L’Esperanto viene spesso definito una lingua artificiale. Ma la sua vera natura è profondamente umana. È una lingua progettata per essere semplice, regolare, accessibile. Non per impoverire l’espressione, ma per ridurre le disuguaglianze. Impararla significa partire tutti dallo stesso punto. Nessuno è madrelingua, nessuno è ospite.

In questo senso, l’Esperanto è un gesto etico prima ancora che linguistico. Un esperimento di equità comunicativa. Un tentativo di creare un terreno comune in cui l’incontro non riproduca automaticamente rapporti di potere.


La lingua globale e l’illusione della comprensione


Viviamo oggi in un mondo che comunica senza sosta. Una lingua globale domina la tecnologia, l’economia, la scienza, la cultura. Eppure, mai come ora la comprensione profonda sembra fragile. Le parole viaggiano veloci, ma spesso non si fermano ad ascoltare. Diventano slogan, affermazioni, armi identitarie.

La lingua globale non è neutra. Porta con sé una visione del mondo, una gerarchia implicita, un modello culturale. Parlare non significa necessariamente incontrarsi. A volte significa soltanto occupare spazio. In questo contesto, l’Esperanto non appare come una soluzione pratica, ma come un promemoria necessario. Ci ricorda che comunicare e comprendere non sono la stessa cosa.


Parlare è sempre anche pensare


Ogni lingua modella il modo in cui osserviamo la realtà. Influenza ciò che notiamo, ciò che diamo per scontato, ciò che fatichiamo persino a immaginare. Parlare una lingua significa abitare una visione del mondo. Per questo l’idea di una lingua comune non riguarda solo le parole, ma lo spazio mentale che siamo disposti a condividere.

Immaginare una lingua neutra significa immaginare un luogo in cui l’altro non sia immediatamente straniero. Un luogo in cui l’ascolto precede la risposta. In cui la differenza non viene cancellata, ma sospesa quel tanto che basta per permettere l’incontro.


Una metafora per il nostro tempo


Forse oggi non abbiamo bisogno di una nuova lingua. Ma abbiamo bisogno dello spirito che l’ha generata. Lo Zamenhof Day può diventare un’occasione per riflettere su come parliamo, su come ascoltiamo, su quanto spazio lasciamo all’altro nelle nostre conversazioni quotidiane, reali o digitali.

L’Esperanto, in questo senso, è una metafora potente. Ci ricorda che ogni scelta comunicativa è anche una scelta etica. In un tempo in cui le differenze vengono trasformate in confini e il dialogo in scontro, il sogno di Zamenhof continua a interrogarci.


Una lingua sorella, non una lingua madre


Zamenhof non sognava una lingua che sostituisse le altre. Sognava una lingua sorella. Un codice comune che permettesse alle lingue madri di incontrarsi senza annullarsi. Un linguaggio che non pretendesse di essere il centro, ma uno spazio di passaggio.

Ricordarlo oggi significa ricordare che il dialogo non nasce dall’uniformità, ma dalla disponibilità. Dal riconoscere che nessuno possiede tutta la verità e che ogni incontro autentico richiede un atto di umiltà.


Conclusione


Per kompreno ni proksimiĝas, per aŭskulto ni renkontiĝas. (Attraverso la comprensione ci avviciniamo, attraverso l’ascolto ci incontriamo.)


Citazione d’autore

“Il limite del mio linguaggio è il limite del mio mondo.”

Ludwig Wittgenstein

Consiglio consapevole

Oggi prova a fare attenzione alle parole che usi quando parli con qualcuno che la pensa diversamente da te. Non cercare subito di convincere. Cerca di capire da quale lingua interiore sta parlando. A volte il vero Esperanto non è un codice condiviso, ma un ascolto più profondo.


1 commento

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Ilaria Vaccargiu
Ilaria Vaccargiu
un giorno fa

La reintroduzione del latino forse avrebbe avuto maggiori possibilità... ma tutto quello che può unire e far crescere pare condannato alla eliminazione scolastica...

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