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Luce nell’abisso: John Milton e la caduta come atto di libertà

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    Redazione UAM.TV
  • 59 minuti fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Dal Paradiso perduto alla consapevolezza ritrovata: la lezione eterna di un uomo che seppe vedere oltre.

Luce nell’abisso: John Milton e la caduta come atto di libertà

L’8 novembre 1674 si spegneva John Milton, uno dei più grandi poeti della letteratura inglese e autore di una delle opere più vertiginose della storia dell’umanità: Paradiso perduto.

Un poema che non parla solo di angeli ribelli e giardini primordiali, ma della natura profonda dell’essere umano, del suo bisogno di conoscere, di scegliere, di cadere. E di risalire.

Milton, cieco negli ultimi anni di vita, scrisse la sua opera più luminosa senza poter vedere la luce del mondo, ma con una visione interiore acutissima. Nel buio, trovò la fiamma che illumina l’essenza stessa della coscienza.


Il poeta che sfidò Dio per capire l’uomo


Nel Paradiso perduto (1667), Satana pronuncia parole che attraversano i secoli:


“Meglio regnare all’Inferno che servire in Paradiso.”


È la dichiarazione di un essere che sceglie la libertà, anche a costo della dannazione. Milton, pur non giustificando la ribellione, ne riconosce la grandezza tragica: quella stessa spinta che abita ogni essere umano quando decide di pensare con la propria testa, di non accettare verità imposte, di cercare la luce da solo.

In quelle pagine, il confine tra bene e male si dissolve in un abisso di coscienza. Satana non è soltanto l’angelo caduto: è la parte di noi che osa, che desidera, che vuole essere libera, anche dal Paradiso.


Il Paradiso perduto come viaggio dell’anima


Milton non descrive solo la ribellione degli angeli o la cacciata di Adamo ed Eva, ma il dramma della conoscenza.

Quando Eva assaggia il frutto proibito, non lo fa per malvagità, ma per sete di sapere.

È l’inizio del pensiero, del dubbio, dell’indipendenza.


“Il Paradiso è perso? Allora troviamo un mondo nuovo.”


Così, la caduta diventa nascita. L’errore, crescita. La perdita, libertà.

In un mondo dove spesso la conoscenza è temuta o manipolata, Paradiso perduto ci ricorda che ogni risveglio inizia con un atto di disobbedienza consapevole.


La cecità e la visione interiore


Milton divenne cieco anni prima di scrivere la sua opera più grande.

In un celebre passaggio, invoca la luce divina con parole di struggente intensità:


“Luce eterna, figlia del Cielo primogenita,

o se in eterno tu da Dio splendi,

manda le tue luci giù nei miei pensieri,

illumina ciò che in me è oscuro.”


È una preghiera e una dichiarazione poetica insieme: la vera luce non entra dagli occhi, ma dalla mente e dal cuore.

Milton, cieco nel corpo, divenne veggente nello spirito. Vide oltre la realtà, scoprendo nel buio una rivelazione: che la consapevolezza è l’unico paradiso che non si può perdere.


Dal Paradiso all’Uomo


Il viaggio di Milton è anche il nostro.

Ogni volta che scegliamo la conoscenza invece dell’obbedienza, la libertà invece della paura, la responsabilità invece della cieca fede, compiamo la stessa discesa e risalita del suo poema.

Forse, come Adamo ed Eva, non siamo stati espulsi dall’Eden: siamo semplicemente usciti per imparare a costruirne uno dentro di noi.


Citazione d’autore

“La mente è il proprio luogo, e in sé può fare del Cielo un Inferno, e dell’Inferno un Cielo.”

John Milton, Paradiso perduto

Consiglio consapevole

Rileggi o scopri oggi il Paradiso perduto non come un racconto religioso, ma come un manuale poetico di libertà spirituale.

Ogni volta che scegli di vedere la luce nel buio, anche dentro te stesso, stai riscrivendo la stessa storia: quella di chi ha perso il Paradiso solo per imparare a crearlo da sé.


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