Maurice Ravel, il ritmo che non si arresta
- Redazione UAM.TV

- 1 giorno fa
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Il Boléro, la ripetizione che smaschera il mito del progresso

Maurice Ravel è spesso ricordato come il compositore dell’eleganza, del controllo formale, della precisione quasi maniacale. Un autore che ha attraversato il suo tempo senza mai aderire del tutto a una scuola o a un movimento, fedele a un’idea di musica come costruzione lucida e necessaria. Nulla di superfluo, nulla di lasciato al caso.
La sua vicenda umana si chiude il 28 dicembre 1937, data che oggi risuona come un sigillo simbolico. Ravel muore alla fine dell’anno, in un tempo sospeso tra bilanci e attese, lasciando in eredità una musica che continua a interrogare il Novecento e noi che lo abitiamo ancora. Sotto la superficie cristallina della sua scrittura, infatti, si muove una tensione profonda. Una vertigine silenziosa che emerge con forza in un’opera apparentemente semplice e in realtà radicale: il Boléro.
Una musica che non evolve
Quando Ravel compone il Boléro nel 1928, lo fa come musica di scena per un balletto. Non immagina una grande architettura sinfonica, ma un esperimento estremo. Un unico tema melodico che si ripete identico a sé stesso, sostenuto da un ritmo ostinato che non cambia mai. Nessuna modulazione, nessuna vera variazione tematica. Solo l’orchestrazione che cresce, si ispessisce, si accumula.
Ravel stesso descrisse il Boléro come un brano privo di sviluppo musicale. Una dichiarazione che ha spesso spiazzato, ma che coglie il cuore dell’opera. Qui non c’è racconto, non c’è trasformazione. C’è insistenza. Una progressione che avanza senza interrogarsi sul senso del proprio movimento.
Ed è proprio questa mancanza di evoluzione a rendere il Boléro ipnotico e disturbante. L’ascoltatore non attende un cambiamento, ma un punto di rottura. La tensione non nasce dall’imprevisto, ma dall’inevitabile.
Il Boléro come metafora del Novecento
Col passare degli anni, il Boléro ha smesso di essere soltanto un celebre brano musicale ed è diventato una potente metafora della modernità. Il ritmo meccanico richiama l’automatismo industriale, la ripetizione ossessiva suggerisce la serialità, il crescendo continuo evoca l’idea di progresso come accumulo senza limite.
È una musica che avanza come una macchina perfettamente funzionante. Non è cattiva, non è buona. È indifferente. E proprio per questo inquieta. Come se Ravel avesse intuito che il vero pericolo non è l’errore, ma la ripetizione cieca. Non il caos, ma l’ordine che non si mette mai in discussione.
Allegro non troppo: la musica che diventa storia
Questa lettura trova una delle sue interpretazioni più lucide e spietate nel film Allegro non troppo di Bruno Bozzetto. Nel 1976, Bozzetto utilizza il Boléro come struttura portante di un episodio animato che racconta, senza parole, l’intera parabola della vita sulla Terra.
Si parte dagli organismi monocellulari che emergono dall’oceano primordiale. Poi l’evoluzione, la conquista della terraferma, l’alternarsi delle specie, l’estinzione, la comparsa dell’uomo. Tutto procede seguendo lo stesso tema musicale, identico, mentre l’orchestrazione cresce e si fa sempre più densa.
Con l’uomo arrivano la tecnica, la civiltà, l’idea di superiorità. Il cosiddetto “super uomo” domina l’ambiente, lo piega, lo sfrutta. Ma il crescendo finale non conduce a una catastrofe spettacolare. Conduce a qualcosa di più sottile e feroce. La disgregazione di quell’immagine di superiorità. Il crollo della maschera.
Nel finale, la civiltà ipertecnologica si dissolve e ciò che rimane è la scimmia. La stessa da cui tutto era iniziato. Il cerchio si chiude. Il progresso non esplode, ma si smaschera. Il Boléro non accompagna la fine del mondo, ma la rivelazione della sua illusione.
Ravel oggi, dopo il 28 dicembre
Che Ravel sia morto il 28 dicembre sembra quasi un dettaglio simbolico. Come se la sua musica abitasse naturalmente quella soglia dell’anno in cui si fa il punto, si guarda indietro e si teme ciò che continua ad avanzare. Riascoltato oggi, il Boléro parla con una chiarezza sorprendente. In un’epoca fondata sulla crescita continua, sull’accelerazione, sulla ripetizione di modelli sempre più efficienti, quella musica che procede senza mai cambiare ci pone una domanda essenziale.
Stiamo davvero andando da qualche parte, o stiamo solo aumentando il volume?
Ravel non offre risposte. Non giudica. Costruisce una forma perfetta e ci invita ad abitarla fino in fondo. Forse perché solo restando dentro la ripetizione possiamo accorgerci del momento in cui smette di essere progresso e diventa prigione.
Citazione d’autore
“Ho scritto un capolavoro, ma purtroppo è vuoto di musica.”
Maurice Ravel
Consiglio consapevole
Riascolta il Boléro dall’inizio alla fine, senza interromperlo. Fallo magari proprio in un giorno di passaggio, quando l’anno sembra fermarsi un istante. Poi osserva dove, nella tua vita, la ripetizione è diventata automatismo. Non tutto ciò che cresce è evoluzione. A volte, il gesto più consapevole è riconoscere la scimmia sotto l’abito elegante del progresso.






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