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Lo sguardo che cura - La forza invisibile delle immagini

  • Immagine del redattore: Redazione UAM.TV
    Redazione UAM.TV
  • 19 ago
  • Tempo di lettura: 4 min

Quando le immagini diventano cura, memoria e rivoluzione

Lo sguardo che cura - La forza invisibile delle immagini

Due ricorrenze, un unico messaggio


Il 19 agosto si incontrano due giornate che sembrano lontane e invece sono profondamente intrecciate: la Giornata Mondiale della Fotografia e la Giornata Mondiale dell’Aiuto Umanitario. Una celebra la luce catturata dall’obiettivo, l’altra ricorda la dedizione di chi porta aiuto nei luoghi feriti del mondo. Eppure, in entrambi i casi, parliamo di uno stesso atto: rendere visibile ciò che altrimenti resterebbe invisibile. La fotografia e l’impegno umanitario nascono dalla stessa esigenza: guardare, testimoniare, prendersi cura.


Fotografie che hanno fermato guerre


Ci sono immagini che non hanno solo raccontato la storia, ma l’hanno cambiata. La fotografia della bambina del napalm in Vietnam, correndo nuda sulla strada in fiamme, ha inciso nella coscienza collettiva più di mille discorsi politici. Lo scatto di un vescovo inginocchiato davanti ai carri armati in Polonia, o le fotografie arrivate dai campi di concentramento nazisti, sono rimaste scolpite non come semplici cronache, ma come prove viventi della necessità di un risveglio etico. La fotografia, in questi momenti, non è solo arte: è grido, denuncia, resistenza.


L’occhio dei testimoni silenziosi


Accanto ai grandi reporter che hanno rischiato la vita per mostrare l’orrore delle guerre o la miseria degli ultimi, ci sono anche fotografi e volontari sconosciuti che hanno usato la macchina fotografica come atto di cura. Scattare significa dire al mondo: “Guarda. Non voltarti dall’altra parte”. Così molte campagne umanitarie hanno trovato forza proprio nelle immagini: i volti dei bambini denutriti in Biafra, i corpi provati dal genocidio in Rwanda, le file di profughi nei Balcani. Ogni fotografia diventava un appello a non restare indifferenti.


La bellezza che salva


Ma la fotografia non è solo denuncia. È anche cura attraverso la bellezza. Alcune immagini non raccontano la morte, ma la resilienza. Pensiamo alle foto dei sorrisi dei bambini siriani che giocano tra le macerie, alle mani che si stringono dopo un terremoto, agli occhi luminosi di chi riceve un bicchiere d’acqua. Sono istanti che ci ricordano che persino nel dolore c’è vita, che la dignità umana non si spegne mai. La bellezza, in questo senso, diventa rivoluzionaria: perché ridare un volto umano a chi viene ridotto a numero è il primo passo verso la giustizia.


Scrivere con la luce, agire con il cuore


La fotografia, etimologicamente, significa “scrivere con la luce”. L’aiuto umanitario è, in fondo, lo stesso gesto compiuto con altre mani: portare luce dove c’è oscurità, sollievo dove c’è abbandono. La macchina fotografica e la mano che porge un pezzo di pane sono due strumenti diversi, ma mossi dalla stessa energia: ricordare all’umanità di restare umana. In questo senso la fotografia diventa spiritualità incarnata, non come fuga dal mondo ma come sguardo capace di trasformarlo.


Due documentari per capire la forza delle immagini


Su UAM.TV sono disponibili due documentari che raccontano in maniera potente quanto la fotografia possa essere non solo un linguaggio estetico, ma una vera e propria testimonianza di vita e di storia.



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“Notarangelo ladro di anime” ci porta in Puglia e Basilicata, là dove Domenico Notarangelo ha raccontato l’Italia contadina con oltre 100.000 fotografie e centinaia di ore in Super 8. Le sue immagini, mai compiaciute e sempre rispettose, sono il ritratto più autentico della nostra memoria collettiva. Come Henri Cartier-Bresson o Sebastiao Salgado, Notarangelo sapeva che lo scatto poteva custodire un’anima, rivelarne la dignità, restituire voce a chi non l’aveva.



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“F11 and be there” attraversa gli Stati Uniti con l’obiettivo di Burk Uzzle, che da oltre 65 anni immortala gli eventi cruciali della storia americana: Woodstock, il motel in cui venne assassinato Martin Luther King Jr, i cambiamenti sociali che hanno attraversato il Paese. Nel documentario, Uzzle racconta il suo rapporto con la fotografia come strumento critico e poetico, in cui ogni immagine è un atto di resistenza e di sensibilità.


Entrambi i film, seppure lontanissimi per geografia e stile, ci ricordano che la fotografia non è mai neutra: o contribuisce a dimenticare, o contribuisce a ricordare.


Lo scatto che resta dentro di noi


Forse la più grande forza della fotografia non è quella di riempire musei o riviste, ma di trasformare chi guarda. Un’immagine autentica ci costringe a fermarci, a sentire, a scegliere. E così come i volontari che operano nei campi profughi o negli ospedali da campo non dimenticheranno mai i volti incontrati, allo stesso modo anche noi, osservando certe fotografie, non saremo più gli stessi. Ogni scatto autentico è una chiamata alla responsabilità, un invito ad agire, un seme di compassione.


Citazione d’autore

“Se le tue fotografie non sono abbastanza buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino.”

Robert Capa

Consiglio consapevole

In questa giornata, prova a guardare le fotografie non come immagini da consumare velocemente, ma come porte che si aprono. Osserva un volto, una scena, un paesaggio, e domandati: cosa mi sta chiedendo questa immagine? Forse ti chiede di cambiare prospettiva, forse di agire concretamente, forse solo di fermarti un attimo a ringraziare la vita.


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