Guru Nanak e il messaggio universale del Sikhismo
- Redazione UAM.TV
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Un invito all’uguaglianza, alla compassione e al dialogo tra le culture

Il 22 settembre 1539 si concludeva la vita terrena di Guru Nanak, il fondatore del Sikhismo. Ma più che una fine, quella data segna l’inizio di un’eredità che attraversa i secoli e continua a parlare ancora oggi, con voce limpida, a chiunque sia in ricerca di senso. Guru Nanak fu un uomo nato in un tempo di profonde divisioni religiose e sociali, in un’India frammentata, percorsa da contrasti tra musulmani e induisti e da un sistema di caste rigido e oppressivo. Eppure, anziché lasciarsi ingabbiare da quelle logiche, seppe vedere oltre: percepì che al di là delle differenze esteriori vi era una verità comune, la presenza di un unico Dio e la dignità di ogni essere umano.
Un giovane che rifiutava i rituali vuoti
Fin da piccolo Nanak mostrò una sensibilità fuori dal comune. Non accettava passivamente i rituali formali né le imposizioni di casta. La sua era una sete di spiritualità autentica: non cercava Dio nei gesti esteriori, ma nella profondità del cuore. È rimasto celebre l’episodio in cui, al momento della cerimonia di iniziazione, rifiutò di indossare il “sacro filo” che segnava il suo ingresso nella tradizione induista, dicendo che l’unico vero filo era quello che legava l’anima al divino.
Questa radicalità non era ribellione fine a sé stessa, ma desiderio di autenticità. Nanak non rigettava le religioni, rigettava l’ipocrisia e i muri che esse, nel corso dei secoli, avevano costruito attorno agli uomini.
La rivelazione sulle rive del fiume
A circa trent’anni, la sua vita ebbe una svolta mistica. Scomparve per tre giorni, immerso nelle acque del fiume Kali Bein. Quando riemerse, pronunciò parole che sarebbero rimaste scolpite nella storia: “Non vi è né induista né musulmano. Vi è solo l’essere umano davanti al divino”. Da quel momento cominciò i suoi Udasis, i viaggi missionari che lo portarono attraverso l’India, il Tibet, la Persia, l’Arabia e persino La Mecca.
In ogni luogo il suo messaggio era lo stesso: l’umanità è una, Dio è uno, e le differenze sono solo veli che impediscono di vedere la realtà profonda. Questa visione universale lo rese una figura di ponte, un messaggero di dialogo in tempi di conflitti, ma anche un rivoluzionario spirituale che non temeva di sfidare le convenzioni.
I tre pilastri di una vita piena
L’insegnamento di Guru Nanak è straordinariamente concreto e universale. Si riassume in tre principi cardine, che ancora oggi ispirano milioni di persone:
Nam Japna: coltivare la presenza costante del divino attraverso la meditazione, la preghiera e il canto. Non un gesto rituale, ma un modo per rendere sacro ogni istante.
Kirat Karni: vivere del proprio lavoro, con onestà e dignità. Non sfruttare né ingannare, ma contribuire al mondo con fatica autentica e giusta.
Vand Chakna: condividere ciò che si ha con gli altri, soprattutto con chi è nel bisogno. La ricchezza non ha senso se non diventa strumento di bene comune.
Questi tre principi parlano un linguaggio semplice eppure rivoluzionario: ricordare, lavorare, condividere. Sono la base non solo di una religione, ma di una filosofia di vita che oggi diremmo consapevole.
Una comunità senza caste
L’idea più potente di Guru Nanak fu forse quella di abbattere il sistema delle caste. Davanti a Dio, proclamava, non ci sono né superiori né inferiori: ogni uomo e ogni donna portano in sé la stessa luce. Per questo istituì la pratica del langar, il pasto comunitario in cui tutti mangiavano insieme, indipendentemente da casta, ricchezza o provenienza. Ancora oggi, nei templi Sikh, chiunque può sedersi a tavola e ricevere cibo gratuitamente, in un gesto che è al tempo stesso spirituale e sociale.
L’eredità dei Guru e del testo sacro
Alla sua morte, nel 1539, Nanak non trasmise la guida spirituale ai suoi familiari, ma a un discepolo scelto per merito e saggezza. In questo modo fondò una linea di dieci Guru, che proseguirono e ampliarono il suo insegnamento. L’ultimo di loro, Guru Gobind Singh, dichiarò che dopo di lui il Guru vivente sarebbe stato il Guru Granth Sahib, il libro sacro che raccoglie gli inni e le preghiere di Nanak e degli altri maestri.
Ancora oggi, nelle comunità Sikh sparse per il mondo, il Guru Granth Sahib non è visto come un semplice testo, ma come una presenza viva, una guida spirituale capace di parlare al cuore.
Un messaggio per i nostri tempi
Il messaggio di Guru Nanak è attuale come non mai. In un mondo che sembra frammentarsi in identità contrapposte, il suo invito a guardare oltre le divisioni resta una bussola preziosa. La sua spiritualità non è un dogma, ma una pratica quotidiana che unisce meditazione e giustizia sociale, intimità con Dio e responsabilità verso gli altri.
La modernità ha fatto del progresso un mito e spesso dell’individualismo un imperativo. Nanak ci ricorda invece che la vera ricchezza nasce dalla condivisione, che la vera fede nasce dalla compassione, che il vero progresso nasce dal dialogo.
Non importa a quale religione apparteniamo, o se non ci riconosciamo in nessuna. Il cuore del suo messaggio è universale: siamo tutti parte di una stessa umanità, illuminata da una stessa luce. E questa luce non ci chiede altro che di brillare insieme.
Citazione d’autore
“Non vi è alcun nemico, non vi è alcuno straniero. Tutti gli esseri sono miei amici.
Guru Nanak
Consiglio consapevole
Prenditi oggi un momento di silenzio per guardare chi ti sta accanto senza etichette né pregiudizi. Non vedi una religione, una casta o una nazionalità: vedi un essere umano. E in quell’essere, riconosci la stessa luce che ti anima.
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