26 giugno 1541 – Pizarro muore, ma la storia non la scrive lui. La scrivono le civiltà che ha cancellato.
- Redazione UAM.TV
- 4 giorni fa
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La morte del conquistador segna solo un passaggio: la vera storia è quella delle civiltà cancellate, dal Sud al Nord del continente.

Francisco Pizarro: dal nulla al potere
Francisco Pizarro nacque intorno al 1478, figlio illegittimo di un colonnello e di una contadina. Cresciuto in estrema povertà nella Spagna rurale, era analfabeta, ma ambizioso. Cercò fortuna nel Nuovo Mondo unendosi alle prime spedizioni coloniali nei Caraibi e a Panama, dove maturò esperienza militare e familiarità con le dinamiche del potere coloniale.
Nel 1532, guidando un manipolo di soldati affamati d’oro, Pizarro sbarcò sulle coste dell'attuale Perù. Davanti a sé trovò un Impero Inca scosso da una guerra civile. Sfruttando il caos interno e contando su alleanze e tradimenti, Pizarro attirò Atahualpa in un’imboscata a Cajamarca. Nonostante il pagamento di un riscatto immenso in oro e argento, l’Inca fu giustiziato.
Nel 1535 fondò Lima, nuova capitale del vicereame, e si proclamò governatore. Ma il potere non si divide, e la rivalità con Diego de Almagro e poi con suo figlio, Diego de Almagro il Giovane, degenerò in una lotta intestina. Il 26 giugno 1541, un gruppo di sicari legati agli Almagristi fece irruzione nella sua residenza. Dopo una breve e feroce resistenza, fu trafitto da più colpi e lasciato morire nel suo stesso palazzo.
La sua morte non fu la fine dell’oppressione, ma solo l’inizio di un’epoca ancor più sistematica e brutale di colonizzazione.
Un assassinio simbolico
La morte di Pizarro non segnò una liberazione, ma un passaggio di potere all’interno dello stesso meccanismo violento. Fu la prova che la conquista non aveva volto umano, ma un ingranaggio spietato che divorava anche i suoi artefici. Mentre le popolazioni indigene di tutto il continente americano — dagli Anasazi e i Pueblo nel Nord, ai Maya e agli Aztechi nel Centro, fino agli Inca nel Sud — affrontavano genocidi e devastazioni, gli europei combattevano tra loro per il controllo delle terre saccheggiate.
La logica era la stessa, ovunque: cancellare ciò che era, per costruire su rovine altrui. Che fosse nel deserto del New Mexico, nelle selve del Guatemala o sugli altopiani andini, la conquista avanzava senza pietà, riducendo in polvere lingue, spiritualità, cosmologie, vite.
Un genocidio culturale
La colonizzazione delle Americhe non fu una semplice conquista militare. Fu un vero genocidio culturale esteso dall'Alaska alla Terra del Fuoco. Le civiltà precolombiane, portatrici di visioni del mondo complesse, relazioni armoniche con la natura e saperi ancestrali, vennero dichiarate primitive e sradicate con ogni mezzo.
Gli Haudenosaunee nel Nord America, con la loro sofisticata confederazione politica; i Maya, maestri di scrittura e astronomia; i Taino, primi a essere sterminati nelle Antille; gli Arawak, i Mapuche, i Zapotechi, i Navajo: tutti furono colpiti dalla furia di un’espansione che si diceva "divina" ma era profondamente predatoria.
Templi bruciati, codici distrutti, cerimonie proibite, bambini strappati alle famiglie, lingue proibite, dèi demonizzati. Interi universi culturali vennero oscurati per far spazio alla croce, alla spada e alla corona.
La falsa retorica della “civilizzazione”
Per secoli la narrativa occidentale ha mascherato l’invasione del continente americano dietro l’illusione della "civilizzazione". In realtà, ciò che accadde fu un sistematico annientamento della diversità culturale, spirituale e sociale che fioriva in centinaia di forme diverse in tutto il continente.
Il “Nuovo Mondo” non era vuoto, né arretrato. Era abitato da popoli con sistemi giuridici, economici, urbanistici e filosofici complessi. Ma la conquista spagnola, e poi inglese, francese e portoghese, preferì costruire un racconto lineare: i conquistati erano barbari, gli europei portatori di ordine e fede.
Così facendo, si giustificò tutto: le epidemie, la schiavitù, le deportazioni, la distruzione di intere civiltà come quella degli Olmechi o dei Mississippiani, fino alle riserve imposte ai nativi nordamericani e alle missioni forzate del Canada e del Brasile.
Resistenze e rinascite
Eppure, la memoria non muore. Le culture indigene non sono scomparse. Resistono nella lingua Nahuatl parlata in Messico, nelle visioni cerimoniali Lakota, nei racconti orali Hopi, nei tessuti quechua, nei rituali amazzonici, nei canti mapuche.
Oggi, ovunque nelle Americhe, comunità indigene si stanno riappropriando delle proprie identità, dei propri saperi, dei propri diritti. E lo fanno con coraggio e con grazia. Non cercano vendetta, ma giustizia. Non vogliono tornare indietro, ma essere riconosciute come parte viva di un presente che troppo a lungo le ha ignorate.
La loro resistenza è soprattutto spirituale. Una sfida alla logica del dominio, una proposta radicale di coesistenza. Una lezione, forse, per il mondo intero.
Uno sguardo consapevole
Ricordare la morte di Pizarro oggi non serve a indulgere nella cronaca del passato, ma ad aprire gli occhi su ciò che quella storia continua a generare. Le ferite della conquista non si sono chiuse: le si possono trovare nei territori indigeni espropriati per l’estrazione mineraria, nella criminalizzazione delle lingue native, nelle disparità sociali, nell’indifferenza.
Ma si possono trovare anche segnali di guarigione: nel risveglio di una coscienza collettiva che cerca di ascoltare di nuovo le voci silenziate. Perché la vera "scoperta" oggi è riconoscere che il futuro del pianeta potrebbe trovarsi proprio in quelle culture che per secoli abbiamo tentato di cancellare.
Citazione d'autore:
“Hanno cercato di seppellirci. Non sapevano che eravamo semi.”
Proverbio popolare messicano
Consiglio consapevole:
Apri una mappa del continente americano e segna i luoghi dove vivono ancora oggi popoli nativi. Scoprirai che non sono frammenti di un passato lontano, ma presenze vive, attive, spesso in prima linea nella difesa dell’ambiente, della spiritualità e della dignità umana. Sostieni le loro voci. Ascolta la loro storia. Anche questa è resistenza.
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