top of page
banner uam.jpg

Ernesto Che Guevara. Il coraggio di restare mito

  • Immagine del redattore: Redazione UAM.TV
    Redazione UAM.TV
  • 9 ott
  • Tempo di lettura: 4 min

Nel giorno della sua morte, la domanda che resta: chi era davvero il Che?

Ernesto Che Guevara. Il coraggio di restare mito

Il 9 ottobre 1967, in una piccola scuola di La Higuera, in Bolivia, veniva ucciso Ernesto “Che” Guevara, medico argentino, rivoluzionario, poeta della libertà.

Da allora, la sua immagine ha attraversato il mondo e i decenni, stampata su magliette, bandiere, muri e sogni. Ma dietro il volto diventato simbolo, dietro lo sguardo fisso e fiero di quella celebre fotografia, c’è ancora oggi una domanda che inquieta e ispira: chi era davvero il Che, e cosa rappresenta per noi?


L’uomo e il vuoto


La morte del Che non ha cancellato la sua presenza, anzi, l’ha amplificata. Come spesso accade con chi muore troppo presto, la sua assenza è diventata presenza, il suo silenzio un’eco che non smette di parlare. Il mondo aveva perso un uomo di azione, ma aveva guadagnato un’icona capace di incarnare - e forse tradurre - la sete di giustizia, la ribellione contro l’ingiustizia, il sogno di un’umanità più equa.

Oggi, a più di cinquant’anni dalla sua morte, resta quel vuoto: non solo la mancanza del Che come persona, ma il vuoto di un ideale collettivo, di una passione politica che nasceva da un senso di responsabilità verso il mondo e non da un calcolo di vantaggio personale.


Il coraggio e la forza di un sogno


Che Guevara ha rappresentato, per milioni di persone, la possibilità di vivere coerentemente con le proprie idee, anche a costo della vita.

La sua rivoluzione non fu soltanto militare, ma etica: l’idea che la libertà valga più della paura, e che la dignità dell’uomo non possa essere negoziata.

Non è un caso che il suo nome sia sopravvissuto al tempo come sinonimo di coraggio, sacrificio e integrità morale.

Vale la pena lottare solo per ciò senza cui non vale la pena vivere”, scriveva.

Frasi come questa non sono slogan, ma richiami a una forma di vita interiore che oggi, in un’epoca dominata dal consumo e dalla distrazione, sembra quasi appartenere a un’altra dimensione dello spirito umano.


Dal mito alla memoria viva


Il mito del Che è passato di mano in mano come una torcia.

Negli anni ’70 e ’80 era la bandiera di chi sognava un mondo diverso; negli anni ’90 la sua immagine resisteva come un ricordo romantico, quasi estetico; nel nuovo millennio è diventato un’icona pop, a volte svuotata di senso, a volte riscoperta come simbolo di autenticità e idealismo.

Eppure, dietro il mito, resta la sostanza: un uomo che ha creduto nell’essere umano.

Un uomo che ha scelto di agire, di non limitarsi a denunciare le ingiustizie, ma di viverle sulla propria pelle, fino in fondo.


Le nuove generazioni e l’eredità del Che


Ma oggi, in un mondo iperconnesso e frammentato, le nuove generazioni conoscono davvero la storia del Che? O ne conservano solo il volto stilizzato, il logo, l’immagine “ribelle” privata di significato?

Il rischio è che la sua immagine sopravviva, ma non il suo messaggio.

Per questo è importante spiegare ai giovani chi era davvero Ernesto Guevara -non un idolo da venerare, ma un uomo che ha creduto nella forza delle idee e nell’impegno personale come forma di amore verso l’umanità.

Raccontare il Che ai ragazzi significa restituirgli profondità: non ridurlo a un poster, ma ricordare che era un medico che scelse di lasciare la comodità della sua vita per curare e combattere al fianco dei poveri; un intellettuale che studiava economia, filosofia e medicina per capire il mondo prima di volerlo cambiare; un viaggiatore che, sulle strade dell’America Latina, scoprì che la libertà è un cammino, non una bandiera.


E cosa può ancora insegnare oggi ai più giovani?


  • Che il coraggio non è assenza di paura, ma scelta di agire nonostante essa.

  • Che la coerenza è rivoluzionaria, soprattutto in un tempo in cui è più facile cambiare idea che mantenerla.

  • Che la vera ribellione non è distruggere, ma creare nuovi modi di pensare, di vivere, di essere liberi.

  • Che la giustizia non è un sogno utopico, ma un esercizio quotidiano di empatia e responsabilità verso gli altri.

Il Che ci ha insegnato che la rivoluzione più grande è quella interiore. Ed è lì che le nuove generazioni possono trovarlo ancora: non nelle pagine di storia, ma nello specchio del proprio desiderio di autenticità e di senso.


Il Che, oggi


Riflettere sul Che non significa mitizzare la violenza, ma interrogarsi sul potere dell’utopia. Significa ricordare che ogni trasformazione parte da un’idea, e che senza visione non c’è futuro. Il suo sorriso severo ci guarda ancora, non per dirci cosa fare, ma per chiederci se abbiamo ancora il coraggio di credere in qualcosa più grande di noi.


Conclusione


Ernesto Guevara resta un enigma luminoso.

Un uomo che ha scelto la vita più difficile, quella della coerenza.

Il suo mito sopravvive non perché sia perfetto, ma perché è umano: pieno di contraddizioni, errori e passioni autentiche.

Forse, in fondo, il Che non ci invita a seguirlo, ma a ritrovare in noi stessi quella scintilla di coraggio che ci spinge a cambiare il mondo, partendo da noi.

Ci piace ora lasciarvi con le parole che scrive Francesco Guccini nelle ultime strofe della sua canzone "Stagioni":

Ma voi reazionari tremate, non sono finite le rivoluzioni

E voi, a decine, che usate parole diverse, le stesse prigioni

Da qualche parte un giorno, dove non si saprà

Dove non l'aspettate, il "Che" ritornerà.


Citazione d’autore

“Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo.”

Ernesto Che Guevara

Consiglio consapevole

Non limitarti ad ammirare i simboli: chiediti cosa significano davvero.

La coerenza non è un gesto eroico, ma una pratica quotidiana di libertà.


Commenti

Valutazione 0 stelle su 5.
Non ci sono ancora valutazioni

Aggiungi una valutazione
bottom of page