11 settembre. Le ombre dietro la memoria
- Redazione UAM.TV

- 11 set
- Tempo di lettura: 6 min
Dalla memoria delle Torri Gemelle alle verità negate: dubbi, domande e il coraggio di un’inchiesta

Ogni anno, l’11 settembre ritorna come una ferita che non si rimargina. Le immagini delle Torri Gemelle che crollano sotto i nostri occhi sono entrate nell’inconscio collettivo come un simbolo di vulnerabilità, paura e smarrimento. Quella giornata non ha soltanto cambiato la storia degli Stati Uniti: ha mutato il volto dell’intero pianeta.
Ma a distanza di più di vent’anni, quel giorno non smette di sollevare domande. Domande scomode, spesso accantonate, che restano sospese come schegge di vetro nella memoria.
La narrazione ufficiale e le sue ombre
Il rapporto della Commissione 9/11 ha rappresentato il tentativo più sistematico di dare una cornice comprensibile a ciò che accadde. Una ricostruzione che ha indicato responsabilità precise, cercando di consegnare agli Stati Uniti e al mondo una verità rassicurante, lineare, con dei colpevoli ben identificabili.
Eppure, fin da subito, emersero contraddizioni. Testimonianze rimaste fuori dalla relazione finale, documenti secretati, domande senza risposta. Come potevano le Torri collassare in quel modo, verticalmente, con la precisione di una demolizione controllata? Perché il crollo del World Trade Center 7, che non fu mai colpito da un aereo, è stato così rapido e poco indagato? Perché, nonostante la mole di dati a disposizione, il rapporto definitivo appare ancora oggi lacunoso?
Queste non sono solo speculazioni. Sono dubbi condivisi da architetti, ingegneri, esperti, da cittadini che chiedono trasparenza. Dubbi che non sono mai stati davvero sciolti, ma piuttosto messi a tacere.
L’onda lunga della paura
L’11 settembre non è stato solo un attentato. È stato la miccia che ha innescato un cambio epocale. In nome della sicurezza sono state limitate libertà personali, create nuove forme di sorveglianza, introdotte leggi emergenziali che in molti Paesi non sono mai state del tutto revocate.
Ma soprattutto, quell’attacco è stato il pretesto per lanciare guerre “giustificate” da narrazioni che la storia ha già smentito. La guerra in Iraq, ad esempio, fu giustificata con la presunta presenza di armi di distruzione di massa che non furono mai trovate. Una menzogna che ha avuto conseguenze devastanti.
A fianco delle quasi tremila vittime di New York, Washington e Pennsylvania, ci sono le centinaia di migliaia di vite spezzate in Afghanistan, in Iraq, in Siria, in Libia e in tanti altri scenari di conflitto alimentati da quell’onda lunga di terrore. Vittime civili, donne, bambini, intere comunità travolte da bombardamenti, esodi, instabilità cronica. Vite che spesso non trovano spazio nei ricordi ufficiali, ma che gridano la stessa sete di giustizia.
Intervista a Thomas Torelli: l’ombra lunga dell’11 settembre
Nel 2007 usciva Zero: inchiesta sull’11 settembre, un documentario diretto da Franco Fracassi e Francesco Trento, a cui collaborarono Giulietto Chiesa e Thomas Torelli. Un film che osò mettere in discussione la versione ufficiale dell’attacco più discusso della nostra epoca, e che ancora oggi resta una delle opere più note del cinema d’inchiesta italiano.
Abbiamo chiesto a Thomas Torelli di raccontarci, a distanza di anni, che cosa resta di quell’esperienza e come guarda oggi all’11 settembre.
Thomas, cosa ti spinse a lavorare a Zero?
TT:
“All’epoca sentivamo che la narrazione dominante era monolitica, ripetuta ovunque senza la minima incrinatura. Eppure c’erano troppe contraddizioni, troppi elementi che non tornavano. La domanda era semplice: possibile che non ci sia spazio per un’altra voce, per una lettura critica?Zero nacque così: dal desiderio di aprire una finestra, di offrire al pubblico domande che non venivano poste. Non volevamo dare risposte definitive, ma sollevare dubbi legittimi, mostrare che la storia non era così limpida come ci veniva raccontata.”
A distanza di tempo, come giudichi l’impatto del documentario?
TT:
“Zero fu un caso. Girò in tutto il mondo, fu tradotto in tante lingue, venne persino proiettato al Parlamento Europeo. Era la dimostrazione che la sete di verità e trasparenza era condivisa da milioni di persone.Ma allo stesso tempo fu anche ostacolato. Ci furono boicottaggi silenziosi: televisioni che non vollero trasmetterlo, sale che si rifiutarono di programmarlo, quotidiani che lo ignorarono volutamente. Nonostante il clamore internazionale, i canali mainstream fecero di tutto per limitarne la diffusione.Oggi, guardandolo, mi accorgo che molte delle domande che ponevamo sono rimaste inevase. Non ci sono state nuove indagini davvero indipendenti, non ci sono state aperture sincere. La narrazione ufficiale è rimasta la stessa. Ma la forza di quel film è stata quella di dire: fermiamoci, guardiamo, non accontentiamoci. E credo che questa urgenza sia ancora attuale.”
Pensi che le indagini abbiano nascosto più di quanto abbiano rivelato?
TT:
“Non so se la parola giusta sia ‘nascosto’. Ma di certo non tutto è stato chiarito, non tutto è stato indagato con la trasparenza che un evento di quella portata avrebbe meritato. Penso al crollo del WTC7, penso alle testimonianze rimaste fuori dai rapporti ufficiali, penso alle ragioni delle guerre che seguirono.Quello che è certo è che l’11 settembre è stato usato come grimaldello per giustificare conflitti che hanno provocato centinaia di migliaia di vittime innocenti. E questo, a mio avviso, è il vero scandalo che dovremmo ricordare ogni volta che pensiamo a quella data.”
In quegli anni, che ruolo ebbe per te la lettura di Lettere contro la guerra di Tiziano Terzani?
TT:“Fu fondamentale. La prima lettera, La buona occasione, Terzani la scrisse pochi giorni dopo l’attentato. E in quelle pagine ebbe il coraggio di non fermarsi a chiedersi chi fosse stato, come e perché, ma di spostare subito lo sguardo verso la pace. Diceva che l’Occidente, in quel momento, era vittima e non carnefice, e che avrebbe dovuto rispondere non con la vendetta ma con la comprensione. Perché chi aveva organizzato quell’attentato lo aveva fatto proprio perché l’Occidente stesso li aveva portati a tanto.
Io ho sempre apprezzato questo coraggio. Lettere contro la guerra mi accompagnò in quegli anni e mi ricordò che la risposta alla violenza non può essere altra violenza. Fermo restando che sono ancora contento di aver fatto quel film, se oggi dovessi rifarlo lo farei tenendo come faro proprio quella lettera e il pensiero di Terzani. Ed è proprio da questo seme che anni dopo è nato Choose Love, un documentario che raccoglie quell’eredità e prova a indicare l’amore come unica vera risposta alla paura e al conflitto.”
Che cosa diresti oggi a chi guarda Zero per la prima volta?
TT:
“Direi di guardarlo senza la pretesa di trovare una ‘verità alternativa’, ma con la consapevolezza di aprire uno spazio critico. È un film che non dà certezze, ma che chiede allo spettatore di non fermarsi, di continuare a interrogarsi. L’obiettivo del documentario era, prima di tutto, fare domande. Giulietto Chiesa ripeteva spesso: ‘Fino a che fai domande nessuno ti può zittire, ed è questo il compito di un giornalista. Fare domande’.
Noi non sappiamo cosa sia davvero successo quel giorno, ma sappiamo che la versione ufficiale racconta una verità palesemente falsa. Per questo l’obiettivo del film non era sostituirsi a un’inchiesta, ma stimolare l’apertura di una nuova indagine, non politica bensì puramente tecnica, che potesse finalmente chiarire ciò che ancora rimane oscuro.
Il dubbio è un atto rivoluzionario: ci costringe a non accettare passivamente quello che ci viene servito. E in questo senso, penso che Zero sia ancora vivo.”
Qual è il tuo pensiero personale oggi, dopo tutti questi anni?
TT:
“Penso che l’11 settembre sia stato non solo una tragedia immensa, ma anche una cesura storica. Da lì in poi il mondo è cambiato, e non sempre in meglio. Le guerre innescate da quell’evento, basate su menzogne che la storia ha già smascherato, hanno lasciato cicatrici profonde.Credo che la cosa più importante, oggi, sia non limitarsi a ricordare le vittime di New York e Washington, ma anche tutte quelle in Iraq, Afghanistan, Siria… Decine di migliaia, forse centinaia di migliaia di innocenti che hanno pagato con la vita le conseguenze di quel giorno. L’11 settembre non è solo un ricordo americano: è un dolore globale.”
Memoria come coscienza
Ricordare l’11 settembre significa onorare le vittime, tutte le vittime: quelle di New York, quelle delle guerre che seguirono, quelle dimenticate dalle cronache. Significa rifiutare le verità confezionate e mantenere viva la capacità di domandare, di non accontentarsi, di cercare la complessità.
Perché la memoria, se vuole essere autentica, non può essere selettiva. Deve diventare coscienza.
Un’occasione speciale su UAM.TV
In occasione di questa ricorrenza, oggi su UAM.TV sarà disponibile in visione esclusiva il documentario Zero – Inchiesta sull’11 settembre.
Un’opera che ha segnato la storia del cinema d’inchiesta italiano, capace di scuotere coscienze e aprire spazi di dubbio là dove tutto sembrava già scritto. Solo per oggi gli abbonati avranno la possibilità di rivederlo o scoprirlo per la prima volta, per comprendere quanto sia ancora attuale il coraggio di porre domande e di non arrendersi a una verità imposta.
Citazione d’autore
“Il dubbio è il sale della coscienza. Senza dubbio non c’è libertà.” – Giulietto Chiesa
Consiglio consapevole
Non fermiamoci mai alla versione più comoda degli eventi. Leggere fonti diverse, ascoltare più voci, sviluppare un pensiero critico è il modo più autentico per rendere omaggio a chi ha perso la vita l’11 settembre e a tutte le vittime delle guerre che ne sono scaturite.







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