Falcone e Borsellino: non due eroi, ma due uomini liberi
- Redazione UAM.TV
- 19 lug
- Tempo di lettura: 5 min
Il coraggio che cambia la Storia

Falcone e Borsellino: non due eroi, ma due uomini liberi
Il 19 luglio 1992, in via D’Amelio a Palermo, l’Italia intera fu colpita al cuore. Paolo Borsellino venne assassinato insieme ai cinque agenti della sua scorta, appena 57 giorni dopo che un altro attentato, quello di Capaci, aveva ucciso Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e altri tre servitori dello Stato.
Ma ciò che è accaduto in quei giorni non può essere raccontato solo come una tragica cronaca nera. È una storia che ci parla ancora oggi. Una storia che ci interpella, ci scuote, ci chiede chi siamo. Perché Falcone e Borsellino non erano solo magistrati. Erano uomini che avevano scelto di non voltarsi dall’altra parte.
Il prezzo della verità
Paolo e Giovanni non sono diventati eroi per caso. Lo sono diventati perché hanno osato. Hanno osato rompere il silenzio, sfidare il potere mafioso, affrontare l’omertà, ma anche la solitudine. La mafia li odiava, ma non era l’unico nemico. L’isolamento istituzionale, la delegittimazione pubblica, le calunnie dei colleghi: erano questi i colpi che ferivano di più.
Falcone una volta disse:
"La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine."
Ma sapeva che dirlo ad alta voce aveva un prezzo.
Borsellino, dopo la morte dell’amico, andò incontro al proprio destino con una lucidità disarmante. E con la forza di chi non aveva paura di morire, perché aveva già scelto da che parte stare.
La forza del noi
Non erano superuomini.
Erano amici, colleghi, siciliani. Ridevano insieme, condividevano cene, si confidavano timori e sogni. Erano uomini che si sorreggevano a vicenda, come si sorregge chi sa di camminare sull’orlo di un precipizio.
Quella che ci hanno lasciato è una lezione di coraggio collettivo.
Un invito a credere che la giustizia non è una parola vuota. Che la legalità non è burocrazia, ma fiducia. Che non si cambia il mondo da soli, ma insieme, un gesto alla volta.
Oggi, a distanza di anni
Ogni 19 luglio, le immagini di via D’Amelio tornano nei nostri notiziari. Le parole si ripetono, i servizi televisivi scorrono simili.
Ma la vera memoria non sta nella ritualità. Sta nella scelta quotidiana di vivere con la stessa coerenza. Sta nella scuola che insegna ai bambini chi erano Falcone e Borsellino. Nella famiglia che rifiuta il compromesso. Nel giornalista che indaga con onestà. Nel cittadino che non si volta dall’altra parte.
E allora il loro sacrificio diventa seme. Non retorica, ma azione. Non nostalgia, ma futuro.
Per non dimenticare nessuno
Ci sono nomi che diventano simboli.
E poi ci sono nomi che rischiano di restare nel silenzio, pur avendo camminato ogni giorno accanto al pericolo, alla paura, alla responsabilità.
Oggi, a distanza di più di trent’anni, abbiamo il dovere di pronunciarli uno per uno.
Perché la memoria non è completa finché non è intera.
Perché questi uomini e queste donne non sono stati “vittime collaterali”, ma scelte consapevoli di coraggio quotidiano.
Strage di Capaci – 23 maggio 1992
Giovanni Falcone, magistrato - Aveva capito che il cambiamento non sarebbe mai arrivato dall’alto. Lo costruiva, ogni giorno, in silenzio, scrivendo sentenze come fossero mattoni per una casa più giusta.
Francesca Morvillo, magistrato - Era moglie, collega, complice. Non si è mai tirata indietro. Il suo amore per Giovanni era parte della lotta, parte della luce.
Antonio Montinaro, capo scorta - Un muro umano tra Falcone e la morte. Sapeva tutto, da tempo. Non ha mai chiesto di essere spostato. Ha scelto di restare.
Vito Schifani, agente di Polizia - Ventiquattro anni, una moglie giovane, un bimbo piccolo. In quel funerale sua moglie parlò all’Italia con voce rotta e ferma. Ancora oggi, quella voce rimbomba.
Rocco Dicillo, agente di Polizia - Appassionato di fotografia e di silenzi. Era il primo dell’autostrada, il primo a vedere l’esplosione. Non ebbe il tempo di frenare.
Strage di via D’Amelio – 19 luglio 1992
Paolo Borsellino, magistrato - Dopo la morte di Giovanni, sapeva che non avrebbe avuto scampo. Ma non smise mai di andare avanti. La sua agenda rossa è oggi il simbolo di tutto ciò che ancora chiediamo: verità.
Agostino Catalano, agente di Polizia - Uomo d’ordine, sereno, affidabile. Aveva esperienza e la metteva al servizio di chi sapeva rischiare per tutti. Quella mattina era il punto fermo della squadra.
Emanuela Loi, agente di Polizia - Prima donna della Polizia di Stato a morire in servizio. Sarda, minuta, determinata. Aveva 24 anni e un coraggio immenso. Ancora oggi è ispirazione per chi sceglie di servire.
Walter Eddie Cosina, agente di Polizia - Era nato in Friuli ma aveva scelto Palermo. Il suo volto gentile, la sua presenza discreta. Quel giorno non era in servizio, ma fu chiamato e accettò. Per senso del dovere.
Vincenzo Fabio Li Muli, agente di Polizia - Soltanto ventidue anni. Amava la musica, gli amici, la vita. Quando si unì alla scorta, lo fece con entusiasmo. Se n’è andato troppo presto. Ma con onore.
Claudio Traina, agente di Polizia - Era appena rientrato dalle ferie, eppure si offrì volontario. Era padre, marito, servitore dello Stato. Non esitò, nemmeno per un istante.
Anche Peppino
Non si può parlare di lotta alla mafia, di coscienza civile, di voce che si alza contro il silenzio, senza ricordare anche Peppino Impastato.
Ucciso nel 1978 a soli 30 anni, Peppino non era magistrato, né poliziotto. Era un ragazzo. Un figlio di mafioso che aveva avuto il coraggio di rompere il patto di sangue con la sua terra. Di guardare in faccia la verità e sputarla in radio, ogni giorno, attraverso le onde di Radio Aut.
Lo faceva con rabbia, ironia, poesia.
Lo faceva per amore della vita.
Quella sua frase, ancora oggi tagliente come vetro, resta tra le più forti mai pronunciate contro il potere criminale:
"Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda."
Non è una provocazione. È un testamento civile. È la voce di chi non ha voluto piegarsi, nemmeno sapendo che l’avrebbero fatto saltare in aria su un binario isolato.
Peppino, come Falcone e Borsellino, ha parlato quando tutti tacevano. E proprio per questo la sua voce continua a vivere. Nelle scuole, nei libri, nei cortei, nelle coscienze.
Perché la mafia non si combatte solo con le leggi.
Si combatte con l’educazione.
Con la parola.
Con la bellezza.
Con la dignità di non arrendersi.
Citazione d’autore
"Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola."
Paolo Borsellino
Consiglio consapevole
La memoria non vive nelle cerimonie, ma nelle scelte quotidiane.
Onora il coraggio di chi ha pagato con la vita scegliendo la giustizia: non con parole solenni, ma con gesti semplici.
Sii leale, anche quando nessuno guarda. Difendi la verità, anche quando conviene tacere.
E se senti che tutto è troppo grande per te, ricordati che anche un solo passo nella direzione giusta può fare la differenza.
È così che si custodisce la memoria. È così che si cambia il mondo.
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