Quando la bellezza soffoca
- Beatrice Vianello
- 30 lug
- Tempo di lettura: 3 min
Il lato oscuro del turismo nelle città d’arte

Ci sono momenti in cui le città sembrano smettere di respirare. I vicoli diventano fiumi umani, le piazze un palcoscenico di posture e flash, i monumenti figure immobili che osservano il caos moderno con una malinconia silenziosa.
È il rovescio della medaglia del viaggio. Il lato che non compare nei cataloghi patinati, né nei video su TikTok.
Si chiama overtourism.
E non è solo un problema logistico o urbanistico: è una ferita aperta nella relazione tra le persone e i luoghi.
Un eccesso che diventa sottrazione
Città come Venezia, Firenze, Roma, ma anche mete più piccole come Siena, Matera, Alberobello o Portofino vivono oggi un fenomeno paradossale: vengono amate fino quasi a essere consumate. Si viaggia per vedere la bellezza, ma nel farlo la si schiaccia sotto il peso di milioni di sguardi frettolosi. L’eccesso diventa sottrazione. Il troppo diventa assenza di qualità.
Cammini in mezzo a una folla e ti accorgi che nessuno è davvero lì. Tutti di passaggio, tutti a rincorrere una checklist di esperienze preconfezionate. Nessuno che ascolti il silenzio tra le pietre, il suono della lingua locale, il profumo di un cortile nascosto. Nessuno che si chieda cosa significhi vivere ogni giorno in quei luoghi, con le loro luci e le loro ombre.
Le città trasformate in scenografie
L’identità si perde, lentamente, ma inesorabilmente. Le case dei residenti si svuotano per diventare B&B, le botteghe artigiane cedono il passo a store internazionali. I ristoranti cambiano menù per adattarsi al gusto globalizzato. Il tempo della città si piega al ritmo del turismo, una giostra che non si ferma mai.
Così, la città si svuota di vita reale per riempirsi di rappresentazione. Una recita, giorno dopo giorno. Un eterno “benvenuto” urlato, dietro cui si nasconde spesso una stanchezza profonda, una nostalgia di quando si poteva ancora riconoscere il volto dei vicini, sentirsi parte di un luogo e non solo di un servizio.
I segni invisibili del disagio
Il danno peggiore, però, non si vede. È quello psicologico, sociale, spirituale. È la perdita di appartenenza, il senso di essere diventati estranei nella propria città. I residenti si ritirano, si allontanano, cercano rifugio nei margini. E chi resta, spesso, lo fa con un senso misto di rassegnazione e rabbia.
Anche il visitatore, inconsapevolmente, paga un prezzo. Crede di vedere la città, ma la città che visita è un’ombra, un involucro. È un luogo che gli sorride senza guardarlo negli occhi, che si offre senza più raccontarsi davvero.
Rallentare per tornare a comprendere
E allora? Che fare? Il turismo, di per sé, non è un male. È una meravigliosa occasione di incontro, di scambio, di apertura. Ma ha bisogno di un nuovo paradigma. Non si tratta solo di “limitare” i numeri, ma di cambiare il modo in cui si viaggia.
Significa scegliere di rallentare. Di fermarsi un attimo prima dello scatto compulsivo. Di entrare in un luogo chiedendo permesso, come si fa in casa d’altri. Significa scegliere periodi meno affollati, optare per mete meno note, ascoltare le storie della gente, sostenere chi vive davvero in quei territori.
Significa accettare di non vedere tutto, per poter davvero vedere qualcosa.
Per una nuova etica del viaggiare
Viaggiare dovrebbe essere un atto poetico. Un modo per ampliare la propria anima, non per depredare quella degli altri. Dovrebbe lasciare qualcosa dietro di sé, oltre all’impronta ecologica: un ricordo gentile, una gratitudine muta, una domanda.
Come sarebbero le città se tutti scegliessimo di viaggiare con consapevolezza?
Se ci chiedessimo, ogni volta, che cosa porto a questo luogo, oltre al mio sguardo?
Forse, allora, potremmo restituire ai luoghi la loro voce.
E a noi stessi, il senso profondo del viaggio.
Citazione d'autore
“Non si fa un viaggio. Il viaggio ci fa e ci disfa, ci inventa.”
David Le Breton
Consiglio consapevole
Prima di partire, informati su chi abita davvero quei luoghi. Sostieni progetti locali, prediligi piccoli alloggi a gestione familiare, scopri l’anima del posto attraverso chi ci vive ogni giorno. Viaggiare con coscienza non è rinuncia: è profondità.






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