La normalizzazione dell’assurdo
- Redazione UAM.TV

- 11 minuti fa
- Tempo di lettura: 3 min
Come l’adattamento umano diventa una leva di potere

Quando l’eccezione smette di fare rumore
C’è un momento preciso, anche se non sappiamo indicarlo, in cui ciò che era inaccettabile smette di sorprenderci. Non accade all’improvviso. Non è uno shock. È un processo lento, quasi educato. L’assurdo entra nella nostra vita in punta di piedi e si accomoda. Guerre che non finiscono mai. Emergenze climatiche raccontate come stagioni. Precarietà presentata come flessibilità. Tutto continua, tutto scorre, e noi impariamo a convivere.
Questo non avviene perché siamo distratti o superficiali. Avviene perché l’essere umano è biologicamente e psicologicamente programmato per adattarsi. È una delle nostre più grandi risorse. Ci permette di sopravvivere al trauma, di riorganizzarci dopo una perdita, di andare avanti anche quando le condizioni sono ostili. L’adattamento è una forma di intelligenza profonda. Ma proprio per questo può diventare pericoloso.
L’adattamento come forza ambigua
Adattarsi significa ridurre l’attrito tra noi e l’ambiente. Quando l’ambiente diventa costantemente ostile, l’unico modo per continuare a vivere è abbassare la soglia di allarme. Il corpo lo fa. La mente lo fa. Le emozioni lo fanno. Non per cinismo, ma per sopravvivenza. È così che l’eccezione diventa norma e la norma perde significato.
Il problema nasce quando questo meccanismo naturale viene intercettato, studiato e utilizzato. Il potere, in tutte le sue forme politiche economiche mediatiche, conosce bene la capacità umana di abituarsi. Sa che ciò che inizialmente provoca rifiuto, se introdotto gradualmente, finisce per essere accettato. Sa che la ripetizione anestetizza. Sa che l’emergenza permanente stanca più della repressione aperta.
Quando il potere sfrutta la stanchezza
Non è necessario imporre con la forza stili di vita sempre più duri, diseguali o insensati. Basta renderli progressivi. Un piccolo passo alla volta. Una rinuncia alla volta. Una giustificazione alla volta. Prima sembra temporaneo. Poi necessario. Infine inevitabile. In questo modo accettiamo condizioni che, viste tutte insieme, non avremmo mai scelto consapevolmente.
L’adattamento diventa così uno strumento di governo. Non nel senso complottista del termine, ma in quello strutturale. Si governa abbassando le aspettative, spostando l’asticella di ciò che riteniamo normale, convincendoci che non ci sono alternative. La scelta non viene negata. Viene svuotata. Continuiamo a scegliere, ma all’interno di un recinto sempre più stretto.
La soglia morale che si sposta
In questo scenario accade qualcosa di profondo. Non perdiamo solo diritti o qualità della vita. Perdiamo orientamento. Ci abituiamo a un mondo che ci chiede sempre di più offrendo sempre di meno. Ci abituiamo a vivere in uno stato di allerta diffusa senza nemmeno chiamarla così. Ci abituiamo a non avere tempo, spazio, respiro. E quando qualcuno prova a dire che tutto questo non è normale, appare ingenuo, radicale, fuori tempo.
La normalizzazione dell’assurdo non elimina la sofferenza. La rende silenziosa. Individuale. Invisibile. Ognuno pensa di non farcela abbastanza bene, senza vedere che il problema non è la propria insufficienza ma il contesto che chiede adattamenti continui a condizioni disumane.
Dicembre come punto di frizione
Dicembre amplifica questa consapevolezza. Non perché sia magico, ma perché rallenta. O almeno ci promette di farlo. Le luci, le pause, il ritmo diverso mettono in contrasto la fragilità umana con la continuità dell’assurdo globale. Il corpo chiede tregua mentre il mondo continua a correre. In questa frizione emerge una domanda scomoda. A cosa stiamo adattando la nostra vita.
Non è una domanda politica in senso stretto. È una domanda esistenziale. Riguarda il modo in cui consumiamo energia, tempo, attenzione. Riguarda ciò che accettiamo senza più discuterlo. Riguarda il prezzo che paghiamo per restare funzionali in un sistema che ha smesso di essere sensato.
Restare vigili senza indurirsi
Riconoscere la normalizzazione dell’assurdo non significa vivere in costante opposizione o in allarme permanente. Significa recuperare una forma di vigilanza gentile. Un’attenzione che non si anestetizza. Un punto interiore da cui dire questo accade spesso, ma non per questo è giusto. Questo mi è familiare, ma non per questo è umano.
Forse il gesto più radicale oggi non è reagire a tutto, ma scegliere consapevolmente dove non adattarsi. Custodire uno spazio in cui l’assurdo continui a sembrarci assurdo. Anche quando siamo stanchi. Anche quando non abbiamo soluzioni immediate. Perché è solo da lì che può nascere una scelta che non sia semplicemente l’ennesimo adattamento.
Citazione d’autore
“Il vero pericolo non è che il mondo diventi disumano, ma che l’uomo si abitui a viverci dentro.”
Hannah Arendt
Consiglio consapevole
Osserva qualcosa che oggi dai per normale ma che dieci anni fa ti avrebbe fatto dire no. Non giudicarti. Non cercare colpe. Chiediti solo quando è avvenuto lo spostamento. Ritrovare il momento in cui ci siamo adattati è spesso il primo passo per scegliere di nuovo.






Commenti