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Oltre le bombe: uno sguardo consapevole sul conflitto tra Israele, Iran e Gaza

  • Immagine del redattore: Redazione UAM.TV
    Redazione UAM.TV
  • 22 giu
  • Tempo di lettura: 4 min

Quando la geopolitica uccide e la coscienza dorme: perché restare in silenzio non è più un’opzione.

“Quando morirà anche l’ultima madre che piange, chi avrà vinto?”
“Quando morirà anche l’ultima madre che piange, chi avrà vinto?”

Un mondo sull’orlo


Nel cuore di un Medio Oriente che brucia da decenni, la spirale della violenza sembra non trovare tregua. Gli ultimi mesi hanno segnato un’escalation pericolosa: Israele ha intensificato le operazioni militari nella Striscia di Gaza, mentre tensioni sempre più aperte con l’Iran sono ormai sfociate in un confronto diretto. Nel mezzo, milioni di civili pagano il prezzo più alto, tra macerie, silenzi diplomatici e un’umanità che grida senza più voce.

Ma la guerra, si sa, non comincia mai con un missile. È preceduta da anni di oppressione, propaganda, interessi economici, colonialismo travestito da sicurezza. Ed è lì che bisogna guardare, se si vuole davvero capire.

Non è semplice parlare oggi di Israele senza rischiare accuse infamanti. Ma è proprio la confusione tra critica politica e odio etnico a impedire un dibattito onesto. Ed è fondamentale chiarirlo: criticare duramente le scelte del governo israeliano non è antisemitismo. È responsabilità etica.


Gaza: una strage sotto silenzio


Nella Striscia di Gaza è in corso una tragedia di proporzioni inimmaginabili. Oltre 70.000 persone uccise in meno di un anno, la maggior parte civili e bambini. Interi quartieri cancellati. Ospedali e scuole bombardati. Bambini mutilati, affamati, traumatizzati.

Le immagini parlano da sole, eppure vengono ignorate o giustificate con una retorica sempre più disumana. Si parla di “diritto a difendersi”, ma cosa può mai giustificare la morte di migliaia di bambini? Come si può ancora definire "legittima difesa" l’assedio totale a una popolazione di due milioni di persone intrappolate in 365 km²?

Il governo israeliano, guidato dal criminale di guerra Benjamin Netanyahu e sostenuto da una coalizione tra le più estremiste della sua storia, ha scelto la linea dura, il linguaggio della vendetta, la repressione senza limiti. Chi dissente, persino all’interno di Israele, viene marginalizzato o criminalizzato.


L’Iran come nemico perfetto


Nel frattempo, l’Iran continua a essere dipinto come il grande burattinaio del terrore. È vero: Teheran sostiene gruppi come Hamas e Hezbollah. Ma ridurre tutto a uno scontro tra “democrazie” e “regimi” è non solo falso, ma pericoloso.

Israele possiede da decenni un arsenale nucleare non dichiarato, mai sottoposto a verifiche internazionali. Eppure continua a godere di pieno sostegno militare, politico e mediatico da parte dell’Occidente. Teheran, invece, viene isolata, demonizzata, attaccata. L’equilibrio strategico è falsato e chi ne fa le spese non sono i regimi, ma le popolazioni.


Nelle ultime ore: escalation diretta


Tra il 13 e il 20 giugno, lo scenario già instabile è esploso: Israele ha bombardato obiettivi militari e nucleari iraniani. I bombardamenti hanno provocato centinaia di morti, tra cui civili e tecnici nucleari. In risposta, l’Iran ha lanciato centinaia di missili e droni verso Israele, colpendo aree strategiche e civili.

Israele parla di "difesa preventiva", l'Iran di una "Risposta ad una aggressione" mentre le Nazioni Unite denunciano la violazione del diritto internazionale umanitario.

Le immagini mostrano città in fiamme, popolazioni in fuga, e governi che si accusano a vicenda. Le ambasciate occidentali a Teheran sono state evacuate. I colloqui a Ginevra sono falliti. L’aria sa di guerra vera, e globale.


Gaza: il fronte dimenticato


Nel frattempo, mentre i riflettori si concentrano sul conflitto Iran–Israele, la tragedia quotidiana di Gaza scompare dalle prime pagine. Ma i raid israeliani non si sono mai fermati: Khan Younis e Rafah continuano a essere bersagliati. Ogni possibile tregua viene vanificata. Il numero di vittime cresce, ma l’attenzione cala.

Nel frattempo, chi parla di pace viene silenziato, chi denuncia viene isolato. I civili, da entrambe le parti, rimangono ostaggi della propaganda e del cinismo politico.


Criticare non è odiare


È fondamentale ribadirlo: non c’è nulla di antisemita nella critica al governo israeliano. La vera solidarietà verso il popolo ebraico passa anche attraverso il coraggio di denunciare l’ingiustizia, quando è esercitata in suo nome.

Allo stesso modo, non significa sostenere l’Iran. Ma è nostro dovere riconoscere che oggi Israele dispone di una superiorità militare tale da rendere ogni reazione una sproporzione devastante. Chiedere giustizia non è fare il tifo. È restare umani.


Una spiritualità che non chiude gli occhi


Essere consapevoli oggi significa rifiutare la logica del tifo. Non esistono i buoni e i cattivi. Esiste il potere. E poi esiste il dolore. Un dolore che ha la stessa voce, sia sotto le bombe a Gaza che tra le macerie di Teheran o Tel Aviv.

Una spiritualità autentica non ci chiede di prendere posizione per un popolo contro un altro, ma di non voltare lo sguardo di fronte all’ingiustizia. Di vedere l’altro. Tutti gli altri. Anche quelli che ci hanno insegnato a temere o odiare.


Cosa possiamo fare, noi?


Forse non possiamo fermare i missili. Ma possiamo:

  • Informarci, fuori dai circuiti ufficiali;

  • Sostenere chi lavora per la verità e l’aiuto umanitario;

  • Denunciare la propaganda e la retorica dell’odio;

  • Scegliere ogni giorno l’umanità, anche quando è più difficile.


Citazione d’autore


“La guerra non determina chi ha ragione, ma solo chi resta.”

Bertrand Russell


Consiglio consapevole


La prossima volta che leggi una notizia su un attacco, una vittima, una città bombardata… fermati. Chiudi gli occhi. Respira. E immagina che quella persona sia tuo fratello, tua madre, tua figlia. Solo allora saprai se quella guerra la stai davvero comprendendo.


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