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La Shell riduce le sue emissioni del 45%: lo ordina il Tribunale dell’Aja

Una storica vittoria per l’ambiente: per la prima volta un gigante petrolifero come la Shell è stato condannato per non aver rispettato gli accordi di Parigi. È il risultato ottenuto da una causa portata avanti da una rete di ONG, tra cui ActionAid e Greenpeace.

Un passo verso la responsabilizzazione delle multinazionali

La motivazione di questa azione legale, iniziata dall’organizzazione Friends of the Earth, è che le multinazionali che operano nel mondo sono tra i principali inquinatori. Il loro impatto sull’ecosistema non è solo dannoso per l’ambiente, ma anche per le persone che lo abitano: da qui la tesi che la Shell ricavasse profitti violando i diritti umani.

Una tesi che è stata condivisa anche dal tribunale dell’Aja, che nel corso del processo tenuto dalla giudice Larisa Alwin ha emesso una storica sentenza. Infatti, per porre rimedio al suo ruolo nel peggioramento della crisi climatica, la Shell dovrà ridurre del 45% le sue emissioni di CO2 entro il 2030.

Stando a quanto dichiarato dai portavoce di Greenpeace, questa sentenza segna un punto di svolta nell’applicazione degli Accordi di Parigi. “Non è possibile che siano rispettati”, ha dichiarato Andy Palmen di Greenpeace, “se grandi inquinatori come la Shell non sono legalmente obbligati ad agire”. La decisione del tribunale dell’Aja potrebbe creare un precedente legale, che influirà molto sui processi futuri alle aziende inquinanti.

Un impegno concreto per il gruppo petrolifero

Com’era prevedibile, il gruppo petrolifero olandese ha prontamente annunciato che presenterà ricorso contro il verdetto del tribunale. A sua difesa, i portavoce di Shell hanno dichiarato che la compagnia ha già intrapreso un percorso verso un modello green, ponendosi l’obiettivo di arrivare a emissioni zero entro il 2050.

Un obiettivo che però non ha convinto la giudice Alwin, la quale ha descritto gli impegni presi da Shell come formali e contraddittori con le azioni materiali del noto marchio energetico. A sostegno di questo giudizio, casi come il megafinanziamento da 2 miliardi di Euro alla Shell e a Exxon, concesso dal governo olandese di Rutte.

Il motivo di questo prestito stratosferico è la costruzione di un impianto per la raccolta e lo stoccaggio delle emissioni prodotte dagli impianti Shell, per poi conservarle in depositi costruiti appositamente nel Mare del Nord. Una pratica che non risolve il problema dello sfruttamento delle risorse e delle emissioni di CO2, ma si limita ad accantonare il problema, per poi lasciarlo nelle mani di qualcun altro.

Un segnavia per la lotta al cambiamento climatico

Insomma, le politiche della Shell non hanno convinto il tribunale dell’Aja. La sentenza emessa è stata accolta con gioia ed esuberanza dalle associazioni ambientaliste, con l’organizzazione di sit-in, festeggiamenti e pedalate in tutta l’Olanda.

Per la prima volta, una grande multinazionale è stata chiamata a rispondere del suo impatto devastante sull’ambiente: un segno che il comportamento dei grandi gruppi petroliferi sta perdendo la protezione delle istituzioni. Ma soprattutto, un segno che i temi legati al cambiamento climatico e ai diritti umani stanno diventando una tematica sempre più importante.

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