Viaggi consapevoli

Il vaccino di Santiago

Roma,

1 giorno alla partenza.

772 km alla meta, Santiago De Compostela.

 – LA PREPARAZIONE

Ho scelto Santiago.
Avevo un lavoro, avevo la mia attività, avevo le mie serate come dj, la musica e la consolle, il mio microfono, gli ospiti del mio bed and breakfast, l’automobile, avevo la mia casa e il mio indirizzo di residenza, avevo la mia famiglia. Poi, la sera dell’otto marzo, al posto di un aperitivo una conferenza stampa: ed è stato lockdown. Una parola mai sentita prima. Ho perso tutto. In un attimo non avevo più nulla.

Mi chiamo Massimiliano, non sopporto chi mi chiama Max o Massimo, chi mi vuole bene mi chiama semplicemente Massi. Ho quarantacinque anni, i capelli bianchi da quando ne avevo venti, sono nato di fronte al mare Adriatico, con la pineta che d’estate mi faceva ombra e il suono delle onde come culla durante i pisolini pomeridiani. Da ventitré anni mi sono trasferito nella capitale.
Decisi di vivere qui quando avevo solo otto anni. La prima gita con mia madre. Come milioni di bambini sono arrivato davanti alla fontana di Trevi con i miei calzoncini corti e il capellino, mi sono girato di spalle e ho lanciato la moneta, mentre mia madre mi faceva una foto, esprimendo il mio desiderio: non volevo diventare un calciatore e nemmeno un astronauta, volevo vivere a Roma.

Avevo 21 anni quando mi sono trasferito da Pescara. Le strade mi sembravano tutte uguali, enormi, con tanti alberi tra le due carreggiate. I primi tempi ero smarrito in una realtà troppo grande e diversa. Prima di trovare lavoro e potermi permettere una stanza, ho dormito nella macchina del padre della mia fidanzata di allora aspettando che lui si addormentasse nella sua camera, per poi salire a casa e, di nascosto, dormire con lei.

Poi ho trovato la mia strada ed ero felice.

Ora non ho più nulla. Questa maledetta pandemia mi ha tolto quelle poche cose che avevo messo da parte e strappato via anche il passato e quel futuro che avevo. Da un giorno all’altro, in una notte, mi sono ritrovato con il culo per terra e a dover ricominciare da capo. La mia casa è in vendita, il lavoro è perso e non so dove spostare la mia residenza perché mia madre non mi vuole con lei.

Ho pianto, ho urlato contro me stesso e contro gli altri. Da quando non ho più niente ho fatto lavori che non mi competono, con salari vicino allo schiavismo. 

Poi una notte, dopo la centesima ora passata sul divano, mentre l’Italia cantava dai balconi e la Protezione Civile dava i numeri, dopo quasi un mese di confinamento, tra una serie TV e un litigio con Kuss che continua comunque a sopportarmi e scodinzolare, ho deciso di fare qualcosa. Qualcosa che mi togliesse via il virus. Ero positivo alla rabbia, alla delusione, alla cattiveria: dovevo trovare un vaccino.

Il Cammino di Santiago.

Sono abituato a viaggiare solo. Mi piace. Viaggio sempre con le mie comodità. La camera d’albergo con bagno privato, la valigia con le camicie bianche, il libro del momento, le macchine fotografiche, di solito cerco un posto al centro della città o a due passi dal mare. So dove dormire prima ancora di partire. Arrivo sul posto, noleggio l’auto e passo tutta la vacanza in totale relax.

Questa volta sarà tutto diverso.

I due passi dal mare diventeranno settecentocinquanta chilometri da percorrere a piedi. Uno zaino e poche altre cose. Per un’esperienza così particolare devo documentarmi. Mi asciugo le lacrime, mi scrollo Kuss di dosso e prendo il mio PC. Nei giorni successivi all’ennesima conferenza che annunciava il peggio per me, mentre in Italia si gridava: #andratuttobene, mi sono tuffato a cercare tutte le informazioni possibili.

I siti dedicati al Cammino di Santiago danno gli stessi suggerimenti.

Lo zaino: il suo peso non dovrà superare il 10% del mio peso corporeo: per fortuna sono ingrassato, avrò nove chili a disposizione. Ne ho comprato uno a tinta unita verde militare e non è stato facile. Quasi tutti gli indumenti e gli oggetti da trekking sono di colore sgargiante e con scritte vistose. Questa confusione di colori, che ti obbligano ad avere addosso, non rispecchia la mia idea di ordine ed eleganza. Ma forse devo cominciare a vederla in modo diverso. Nello zaino, pochissime cose ed essenziali: il guardaroba è composto da tre t-shirt e due paia di pantaloni. Ventotto giorni di cammino con gli stessi indumenti addosso, sarà una tortura. Non potrò mai scegliere cosa mettere.

Le t-shirt devono essere tecniche: leggerissime e che si asciughino in pochi minuti, i pantaloni, con una zip che al momento giusto utilizzerò per farli diventare corti al ginocchio. Poi ci sono le cose utili: il sacco a pelo di media pesantezza, le mutande, spazzolino, cerotti per le vesciche ai piedi, sandali, mascherina per la notte, tappi per le orecchie visto che dormirò con altre persone, una piccola torcia, bacchette da montagna. Tutto preso on line.

Le scarpe, invece, ho scelto di misurarle e provarle, di toccare con mano. Molti siti suggeriscono di non risparmiare e lo considerano l’acquisto più importante. Si capisce anche il perché. La misura deve essere un numero in più di quello calzato normalmente, perché il piede tenderà a gonfiarsi. Le scelgo, le infilo, le guardo. Saranno le mie migliori amiche per molto tempo. Spero che reggano lo sforzo e i chilometri. Le pago, le infilo nella loro scatola e la commessa le imbusta. Ora tutte le mie cose sono pronte. E io?

Torno a casa, apro lo zaino, e cerco di capire il funzionamento di ogni cinghia e fibbia, comincio a riempirlo e a decidere come utilizzare gli spazi. Metto nel fondo le cose per la notte e sopra quelle che secondo me utilizzerò più spesso. Lo provo, lo metto in spalla, prima mi infilo i pantaloni da trekking, metto anche i calzini anti-vescica, infilo le scarpe, mi guardo allo specchio.

Sembro un coglione.

Non importa. Ricominciare da zero e ripartire dalla cosa più lontana da me, ricominciare da capo in un modo diverso, fuori dalla mia zona di comfort, come direbbe il mio analista, senza tutte quelle cose che mi fanno sentire al sicuro: niente auto a noleggio, ma sveglia alle cinque del mattino e un bagno in comune chissà con quante persone, niente relax e nessuna comodità, solo uno zaino e settecentocinquanta chilometri da fare a piedi. Senza alcuna certezza, di farcela, di essere in grado, di arrivare alla meta, di tornare diverso da prima, di lasciarmi qualcosa alle spalle. Sono ancora di fronte allo specchio e penso sempre di più che la cosa giusta sia fare un biglietto di sola andata.

Puoi seguire il viaggio di Massi sul suo profilo Instagram @mase.ph

Se sei interessato al Cammino di Santiago leggi la recensione di “Sei vie per Santiago, il film presente nel nostro catalogo.

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