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77 Giorni: un viaggio nel cuore del Tibet

Ci sono persone che muoiono a trent’anni, ma vengono sepolte solo a ottanta: così la pensa Hantang Zhao, regista e attore protagonista di 77 Giorni, un avventuroso film ispirato alla storia vera di Yang Liusong, che nel 2011 si prefisse di essere il primo uomo ad attraversare in solitaria l’altopiano desertico del Qiang Tang.

Un’avventura tra narrazione e contemplazione

77 giorni è un film di esplorazione e sopravvivenza, che vuole raccontare il rapporto dell’uomo con la Natura, ma che non si accontenta di ricorrere alle dinamiche cinematografiche più hollywoodiane. Dal punto di vista del mezzo artistico, del racconto per immagini e della rappresentazione del mondo interiore dei personaggi, 77 Giorni compie una ricerca stilistica che si avvicina molto di più alla narrazione letteraria, con un ritmo più pacato e un’atmosfera contemplativa dei paesaggi che arriva a sfociare nel documentaristico, ricreando nello spettatore quella stessa meraviglia, lo stupore e l’introspezione provata da chi quei luoghi li ha vissuti.

Ma non solo il registro visivo è ben distinto rispetto alla tradizione a cui è abituato il pubblico occidentale. Infatti, la trama si evolve anche attorno all’incontro e al rapporto di amore crescente con Lan Tian, una donna paraplegica ma con una grande passione per l’esplorazione e la libertà. Una spinta che nutre una forza interiore nella ragazza e che si trasmetterà al protagonista, dandogli la determinazione spirituale necessaria a lanciarsi all’avventura.

Se la trama si dispiega, da un lato, in maniera lineare nel raccontare le sfide, le avversità e gli scherzi dell’impervio deserto, dall’altro lato segue una narrazione più intimista, focalizzata sull’incontro tra il protagonista e Lan Tian nella città tibetana di Lhasa. Ben presto il racconto della loro relazione, della loro preparazione e della psicologia dei personaggi si disarticola, prendendo le modalità del sogno, del flusso di coscienza.

Raccontare la vita, oltre i cliché occidentali

Il risultato è una trama che si discosta dall’essere solo Into the Wild in salsa tibetana, ma diventa una storia profonda e potente, che esplora gli ampi spazi disabitati del deserto come le profondità ostili e misteriose dell’esistenza, in una ricerca di libertà e affermazione di sé che guarda l’esterno come l’interno.

La storia d’amore tra Lan Tian e Hantang, il modo in cui è raccontata, per quanto parzialmente lontana dai canoni cinematografici occidentali, riesce comunque a colpire per la sua purezza quasi ingenua, per i suoi slanci e le sue progressioni fatte di momenti vissuti, di discorsi e pensieri, piuttosto che di incontri sensuali o carnali.

Lo stesso vale per le sequenze più oniriche, dove la realtà si fonde con l’immaginifico, in exploit di computer grafica talvolta eccessivi, ma che rendono alla perfezione un modo di intendere il cinema e le arti visive in Oriente. L’espressività cinematografica cinese, in particolare quella di Hantang Zhao, trasmettono una sensazione di spaesamento che s’incontra e duetta con il tepore della fiducia e della ricerca di se stessi.

Una celebrazione del territorio, della Natura e, infine, di noi stessi

Le riprese, svolte nella zona disabitata del Qiang Tang ad un’altitudine di oltre quattromila metri, portano nei nostri piccoli schermi le immensità delle catene montuose tibetane, i suoi inaspettati e sconfinati deserti alpini e la commovente onestà della vita di chi ha cercato la sua vera essenza in questi grandi vuoti. La fauna locale, i branchi di yak e cervi, creature maestose che sopravvivono in questo clima estremo, accentuando l’estraneità dell’uomo con questo ecosistema, il suo insuperabile alienamento da esso, la sfida durissima di scavarsi uno spazio di sopravvivenza per reclamare il proprio posto nel mondo.

E anche la sfida per imparare a convivere con gli altri, riscoprendo la compagnia attraverso la solitudine, l’aiuto verso gli altri attraverso la mortificazione di sé, seguendo quell’ideale di scoperta interiore ascetico che la cultura tibetana eredita dalla sua secolare storia religiosa. Tutto questo è 77 Giorni, un film di avventura diverso da quelli che vedrete di solito, l’esplorazione del cinema orientale in un genere che ha brillato in quello occidentale. E soprattutto, una storia coinvolgente di un uomo che lotta contro il destino, in un duello esistenziale con il deserto dell’esistenza e che nella sua lunga, lunghissima vita, reclama almeno settantasette giorni di libertà.

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